Biografie diverse, di Lidia De Federicis
Antonio Ria è il “buon samaritano” e lei, che era stata la ragazza “severa e spregiudicata” di cui era difficile non innamorarsi, è divenuta infine la vecchia signora, berretto con visiera, che guarda frontalmente da una foto nell’ultima pagina. Sono i protagonisti di una storia vera. Li accompagna, in questo volume, che di proposito ci coinvolge, l’autorità del grande mediatore Ernesto Ferreo. Il volume raccoglie un’eccellente testimonianza della pittura di Lalla Romano, allieva di Casorati e di Paola Levi Montalcini: un raggruppamento di autoritratti e commenti, dal 1921 al 1940, per la prima volta riprodotti e ordinati in sequenza. Sono il contributo specifico di Ria, compagno di vita degli ultimi anni (sue parole: “una visione di assoluto”). Sulla scrittura ha invece lavorato Ferrero, traendo materiali narrativi da tutte le opere e collegandoli in un racconto flato. Ogni fase della vita appare incorniciata dal privilegio della semplicità e libertà intellettuale. S’incomincia con l’ascendente, lo zio Giuseppe Peano, che nella nipote Lalla crede di riconoscere la mente di un matematico. lei s’iscrive invece a Lettere e qui crea la sua cerchia intellettuale, tra professori e studenti, Venturi, Antonicelli. Nell’introduzione Ferrero fissa essenziali note metodologiche sul carattere del testo che ha messo insieme. Si tratta naturalmente dell’immagine che Lalla Romano voleva di sé proiettare. Quindi, di una rappresentazione, una letteraria finzione. Costruita con l’intervento del curatore (o doppio curatore), che ha scelto e montato i testi. Il risultato, per chi legge, è un racconto sfaccettato e assertivo, che seguendo sempre l’autrice ne ribadisce la verità, “una sua idea del bello, del vero, dell’assoluto”, l’ansia di assoluto”. Ma lo sommuove l’autobiografismo, che ne era ritenuto il limite. Anzi, il tipo di autobiografismo che appare oggi come la sua novità e modernità, dice Ferrero.
Che l’assoluto coincida per Lalla Romano con il relativo dell’esperienza quotidiana, con la trama delle relazioni, è un bel paradosso. Ha lasciato scritto in una poesia tardiva “amo il Verbo / non le parole / unico è il Verbo / le parole, troppe”. Ma le parole la risucchiavano, e queste pagine sono piene di figure e nomi, anche di realtà semplicemente anagrafica. Nella ricchezza di testi e commenti possiamo distinguere percorsi selettivi. Uno sui costumi d’epoca e il loro variare. Un altro sulla storia civile e politica, guerre, stragi (vedi i tedeschi a Boves). Infine (il più interessante) uno sull’autorappresentazione di un corpo di giovane donna e della sua sessualità. Questo è un libro celebrativo e straordinario, destinato a molti e diversi lettori.