Fabio Mataloni, Il secondo movimento

26-05-2005

"Il secondo movimento", romanzo a doppia partitura, di Giancarlo Pandini


Lui remissivo, teso a conservare della vita coniugale quella “pax romana” che permetteva ad entrambi, marito e moglie, una pacifica convivenza.
Lei remissiva, ma determinata nell’ordine della casa e della vita intera. Una vita che sembrerebbe a tutta prima fatta di sincerità da entrambe le parti, sorretta da quel buon senso che tende a smussare le ansie o le divergenze con un colloquio o un’intesa dentro lo sguardo.
Ma improvvisamente lei si ammala. Un male misterioso, che lentamente la deteriora, nella volontà e nella sua caparbietà, prima che nel fisico.
Un male subdolo che progressivamente si espande, principiando da sintomi che lui non riconosce, da prima, pur edotto dal dottore di famiglia.
Lui avverte che in quella sonata di Beethoven, conosciuta col nome di Chiaro di luna, Op. 27 N. 2, da lei eseguita sempre con un certo taglio, saltando alcune parti, l’allegretto iniziale, ma giungendo al secondo movimento, quasi come rifugio e motivo di rilassamento delle cure quotidiane, era diventata lentamente il motivo di una progressione del male.
“Perché saltare il secondo movimento messo lì per smussare, con ogni evidenza, l’ultima riflessione dolorosa dall’adagio sull’attacco disperato del Finale?”
Lui capisce che la moglie è cosciente di quanto le sta accadendo, e in quel suono sembra simboleggiare un riconoscimento della fine; quel male che la intorbida e la cattura è espresso in quell’omissione, in quella cesura del “secondo movimento” della sonata di Beethoven.
Ogni strappo di ciò che era normale nella vita di relazione diventa dunque per lui un segnale che il male e la morte di lei dovranno essere affrontati. Tuttavia nel riverbero della quotidianità, lei una sera, forse catturata da una troppa tensione, si lascia sfuggire un nome: che è del suo capo politico, di quel manipolo di idealisti che lei aveva seguito nelle sue battaglie politiche.
Quel nome rompe la tela che negli anni era diventata lo schermo benefico di un rapporto, sincerità per sincerità, sopportazione per sopportazione, amore con amore. E si rompe in un modo quasi verticale, perché lacera anche l’orizzonte di un equilibrio che era stato per tanti anni dei due sposi. Da qui inizia la corsa a riempire quel vuoto che non è mai stato in presa diretta con lui, di un tempo che forse aveva escluso il suo impegno ma che lui doveva conoscere. Di contro, quasi come dentro uno specchio, lui conduce una doppia vita, amando una giovane molto graziosa e disinibita. La storia si dipana su due fronti: quello del matrimonio, con la difficile convivenza in approccio al male inesorabile di lei e quello solare e gioioso, ma pieno di rimorsi, di lui con la ragazza: che gli offre non tanto e non solo amore fisico, ma dedizione, dimenticanza, aperture di una fantasia che ne saturano le doppie crisi, matrimoniali ed extra matrimoniali.
Il romanzo si conclude, con il protagonista che rivede il passato mediante lo scorrimento di alcune diapositive del suo matrimonio. E si chiude con lo scoramento della scomparsa di lei.
Il romanzo di Mataloni è condotto con un linguaggio fervido, a doppia partitura, tra capitoli dedicati alla situazione familiare e a quella dei due amanti. Finché l’una, quella più pressante, chiude quella fatta di libertà, evocative e pregnanti.
Il tessuto di questa prosa di Mataloni è però serrato, fitto e a filigrana intensa, che esamina ogni dettaglio dei sentimenti, anche quelli inconfessabili, così che riesce a dare al lettore, pur in una sintesi bellissima, anche accertamenti difficili, se non fisici e materiali. E il senso che se ne ricava è di una prosa che ha un suo stile preciso nel coniugare il passaggio del tempo, il corrompersi dei corpi, ma anche e soprattutto il decadimento spirituale nella successione di un tempo che accomuna in sé amore, arte e morte.