Felice Piemontese, Il migliore dei mondi

07-07-2006

Scheletri di palazzi e metafore, di Domenico Cacopardo

Nelle poesie di Felice Piemontese, raccolte nel volume Il migliore dei mondi (Manni, 10 euro), c'è una scelta meditata e coraggiosa, ch’è causa ed effetto dell’essere nel tempo, osservatori e protagonisti, dolenti e cinici, speranzosi e senza speranza. È la scelta d’una rappresentazione ontologicamente sommessa che, pur provenendo da una terra spagnoleggiante, tutta scoppiettii e orpelli come Napoli (la città delle carrozze funebri a otto scalpitanti cavalli impennacchiati), rifiuta anche le maiuscole per appiattirsi col mondo dei nostri giorni. Un appiattirsi che, tuttavia, non cela il sentimento alto che le percorre e le anima, quel sentimento alto leggibile in tanti pensatori scrittori della Napoli alta, espressione di una grande storia tormentata, capaci di nulla concedere alla rettorica dei luoghi per concentrare il proprio volto serio sulle questioni fondamentali. Oggi Gerardo Marotta, ieri Benedetto Croce e Francesco De Sanctis. Felice Piemontese, con la sua poetica asciutta, ci conduce per le vie dell’attualità commovendoci, epperò invitandoci a vedere: «...con un piccolo/ binocolo, che cercava/ di allontanare le metafore...; ...questo disastroso naufragio/ lo trovo necessario...; C'è stata la guerra,/ del resto. Si va a giocare/ tra le macerie, tra/ gli scheletri dei palazzi/ sventrati. Cercano archetipi,/ irridendo la tua verginità/ tanto al lungo preservata/ di memorabile c'è una gita/ a Pompei, in una barca/ azzurra, molti anni prima/ della catastrofe...». E un effetto imprevedibile si avverte subito al termine dell’ultima pagina di Felice Piemontese: la sensazione d’avere attraversato l’allucinata esperienza dei giorni nostri, d’essere amareggiati e consapevoli, ma non scontenti, non demoralizzati, quasi addolciti dal sapore della parola piana sconsolatoria despagnolizzante, quella parola che avevamo già letto nel suo Dottore in niente, ora riproposta: «...un vento selvaggio/ ci impedì di passeggiare sulla spiaggia, così inutile il mio/ cappello da marinaio appena acquistato, con foto antiche/ di Saint-Malo. Sparavano petardi, per tenere lontani/ gli animali. Lì di fronte, ad alcune migliaia/ di chilometri». Se, come diceva Lenin e ripeté Piemontese, non si può fare la frittata senza rompere le uova, il valore della parola poetica permane anche in una padella nella quale olio rancido e morchioso frigge la sua puzza quotidiana.