Felice Piemontese, Il migliore dei mondi

20-11-2006

Un mondo di sillabe e lacrime, di Lello Voce

C’è stata una stagione felice e intensissima della poesia napoletana, che va dalla fine degli anni ’50 sino a tutti i ’70, una stagione in cui si editavano riviste importanti, e non solo per la poesia, come “Sud”, o “Altri Termini”, una stagione di sperimentazione e grande apertura internazionale, i cui protagonisti sono stati poeti ed artisti del calibro di Luca Castellano, Luciano Caruso, Franco Cavallo e Felice Piemontese.
Proprio di quest’ultimo poeta Manni edita una nuova, bella raccolta, intitolata Il migliore dei mondi. Tutta giocata sui grigi, quasi gozzaniani, di toni apparentemente dimessi, distanti, amaramente ironici, la nuova fatica di Piemontese è in realtà un’opera politica, in cui la critica al presente, a volte sprezzante, è veicolata attraverso piccoli, fulminanti frame crepuscolari («Alla fine / non scrive più, aspettando / di ammalarsi»), fermo immagine, o spezzoni di pellicole interrotte che raccontano una storia di distanze incolmabili di crudeltà («accendevano fuochi, per tenere / lontani i topi. Noi impassibili / naufraghi») di contraddizioni immedicabili, a sostanziare tutta la verve polemica del titolo, che allude sarcasticamente a un mondo nel quale «tutti / parlano una lingua / impossibile».