Pandosia e il rifugio nel passato, di Franco Dionesalvi
Anche se non vi è certezza, numerosi studiosi ritengono che Pandosia, mitica località del passato, sia la progenitrice dell'attuale Castrolibero. E a Castrolibero si reca, nei suoi rari ritorni a casa, dove abitano i suoi genitori, Filippo Senatore, che è nato nel centro storico di Cosenza ma da molti anni vive a Milano. Con questo libro approda a Piero Manni, editore piccolo ma raffinato e intorno al quale nel tempo si sono radunati i migliori interpreti della poesia sperimentale in Italia.
Poeta colto e appassionato viaggiatore, come già nelle sue precedenti prove poetiche qui conferma una insistita predilezione per classicismi, vetustà e arcaismi. Sì che viene da chiedersi cosa motiva questo incessante rifugiarsi nel passato. Se si tratta di un timido pudore nel parlare di sé, nell'aprirsi al mondo, che lo induca a deviare l'attenzione verso lidi più asettici e sicuri. O se invece egli non cerchi di profondersi nell'azione temeraria di rintracciare una continuità fra quel mitico passato e il tempo presente, sì che esso doni magicamente alle nostre miserie attuali pienezza di senso e significazione. Ma la cesura è avvenuta, l'abisso si è schiuso a noi nella sua ineluttabile consistenza e non si può non tenerne conto. Così la poesia di Senatore, col suo rifugiarsi in ostentati e letterari giardini di Eden, a volte suona appesantita e manieristica: “Incarnato viso a tratti eburneo./ Arrotare il selciato rauco/ fiordalisi dell'oblio./ Glauco è il vespro/ come parole d'amanti,/ cupo il vento di Borea”. Altre volte trova soluzioni felici e sorprendenti: “Varcarono la vita proiettando/ nel cielo progetti di stelle”. E tuttavia si fa preferire quando, più coraggiosamente, abbandona la rassicurante letteratura e si inerpica verso più misteriosi e incerti territori, in cui più pericolosa ma autentica, come un dono liberatorio da cui ripartire, è la vertigine della grazia: “La lunga strada/ di sferraglianti strappi nel cuore/ che le vicissitudini ci immersero/ fino a straziarci/ di un male antico,/ che ad ogni interrogativo sfugge/ e la notte non dà sollievo/ alle nostre contemplazioni celesti”.