Franca Bellucci, La Giostra stravolta

01-01-2013

A piccoli passi, di Massimiliano Bertelli

 
La Giostra stravolta. Modulazioni in trittici è la terza silloge di Franca Bellucci dopo Bildungsroman. Formazione insegnante e Sodalizi. Il libro è costituito da dieci modulazioni – termine tecnico che in musica indica un cambio di tonalità all’interno di un brano – composte ognuna da tre componimenti poetici e designate da titoli che ne individuano il tema principale, il filo rosso che collega le poesie contenute. Come vedremo, inoltre, a un livello più alto i temi risultano consequenziali, sono le tracce di un percorso che si snoda lento, cadenzato, da intraprendere a piccoli passi, con la volontà di soffermarsi ogni passaggio per carpirne l’essenza profonda e prepararsi adeguatamente al successivo. La cura dell’autrice per la struttura del testo è evidente, così come il labor limae che sottende ogni componimento: ogni parola è significativa e sostanziale e contribuisce alla costruzione armonica, mirabile in quanto mantiene un sapore antico pur nella trattazione di problematiche attuali e condivise. Con questa opera, infatti, Franca Bellucci esplora il territorio della poesia civile, la quale intende muovere all’azione, mostrando il proprio lato di performatività, partendo dalla definizione netta e chiara della propria identità, la quale rivendica per sé e per il proprio svolgersi una realtà diversa.
Il viaggio inizia con Stanchezza: la mappatura del proprio corpo, necessaria per ricostruire la propria identità e rendersi saldi in vista del cammino, risulta direzionata dal contatto con l’altro da sé, e l’altrui sicurezza conduce in uno stato di oblio e di abbandono: ma è soltanto un attimo. Ancora la scrittura reclama il proprio diritto ad esistere, ancora è necessario lottare contro il caos, in quanto “ossessione d’assedio si profila / nelle fervide menti agli spossati” e “se il silenzio / incrementa lo sbando / in ancora si salda il pregiudizio”. Così si passa al Sassoscritto e lentamente si svela, anche attraverso il proficuo confronto con epoche passate, il male che affligge il tempo presente: la mancanza di solidarietà e cooperazione, “nodi saldati in stanze ben protette / prolungano cordate di interessi / in sostanziale indifferenza altrui”. Una possibile reazione è l’ironia, ma concilia anch’essa il distacco: il vento può essere una guida, anche se mutevole, in attesa di trovare il tesoro, che non è tutto contenuto nella continua giostra di esperienze passate e speranze rivolte al fututo: il centro è il presente, “sul perno della giostra / nostra danza del giorno: / le memorie rifulgono / e trascinate spaiono”. Potenza natura, con tale forza materna e archetipica si può lottare per il cambiamento, oltre i confini e gli specchi che ripetono un eterno presente: è necessario romperli, e lasciare sgorgare la parola, che “adesso erompe forte dalle labbra / a segnare il progresso del sapere”. La voce poetica può plasmare il mondo: la poetessa ha trovato il centro, la quadratura, al di là della stanchezza si rinasce con il Lavoro. Termine che racchiude al suo interno non schiavitù, ma cura e dignità, “l’armonia / è il rispetto reciproco; / è conformarsi/ al respiro del cosmo”: in questi versi netta è la denuncia e la condanna dello sfruttamento dei lavoratori; lontana è ancora la luce della giustizia, lontana l’estensione del diritto di Cittadinanza. Oltre il conflitto, ma anche oltre la quiete: perché cosa assicura che non riprenderà la stessa giostra perversa? Sono necessari valori condivisi, un ritorno alle origini, “non scordo le tue mani fatte svelte / esperte della vita. E le parole / rade profonde. Ed io ti seppi terra / e radice del mio sentirmi vera”, alla Madre. Il materno soccorre colui che è precario, oltre il tempo, lo spazio e i poteri in gioco; ed è anche vero che “oggi / questo fluire vivo / di attenzioni reciproche / si cimenta in impegno / di comprendere il mondo”. Un Mondo che non deve più configurarsi come stravolta giostra ricca soltanto di illusioni, non più Dono Ambiguo, ma in cammino verso un diverso Approdo.
Non intendo narrare oltre; mi fermo Alla foce dei Cesari porto da elargizioni, componimento nato dopo una visita archeologica a Ostia nel marzo 2001, alla quale anch’io ero presente. E dove ancora mi (ri)trovo.