Franca Mancinelli, Mala kruna

01-01-2008
Poesie da Mala kruna e una lettera di Capodaglio 

Pesaro, 28 agosto 2007

Cara Franca,
ho letto Mala kruna, la protagonista del quale mi fa pensare ai quadri di Egon Schiele, per come usa la lingua del corpo.
L’occhio nitido, i sensi vigili, il cuore esigente, la pronuncia composta fin nelle metafore audaci.
Sono le ore cruciali di una vita segnata dal dolore e dal coraggio, senza illusioni né voli sognati.
Dai molto e chiedi molto. E questo è sempre un segno di valore. Ti ringrazio allora e ti saluto
con affetto
  Enrico Capodaglio
 
 
e la ragazza arco
appoggia un piede in aria e congiunge
costellazioni di non generati
al grido che ha rotto ora le acque,
appesa la pelle a un ramo cattura
il vento, è una busta della spesa
di desideri altrui
svaniti in uno sguardo
 
nel treno del mio sangue
salite 
 
 
***
 
 
qua dove ogni parola è ramo rotto
albero di musica in riva al mare
 
quale piaga insieme siamo
distanti
 
solo arsa saliva pesto petto,
ma se gli occhi appoggiassero ai tuoi occhi
ogni nodo al sangue sarebbe fiocco.
 
 
***
 
 
mentre mi scucio e frano
lui bagna il dito sulla lingua e punta l’ago 
nell’aria che mi salda.
 
Ha fatto uno zaino di me in un giorno
l’amore in petali sul pavimento.
Quand’era fondo il silenzio cantava
goccia caduta dentro le costole   
 
si può respirare dalla sua bocca 
come l’annegato e camminare
pestandogli i piedi,
ma le gambe vorrebbero fluttuare     
come alghe al suono della sua voce  
 
e lui continua a spingere la culla
il suo corpo come un pollice.
 
Fors’è annodato alle sue dita questo
gomitolo che srotola e svanisce.
 
 
***
 
 
vorrei con le parole aprirti  
questa vita come una mano  
che sul tavolo capovolta  
aspetta d’essere riempita  
stretta nella tua. Vorrei la lingua 
a chiudere ogni foro, a intonaco  
di questo intreccio di sterpi bruciati. 
Saremo due camicie  
appese l’una dentro l’altra 
per una stagione intera
dove la penombra ha immerso
l’amo negli inverni. 
 
 
***
 
 
il passo sui binari del suicida 
svuota le bocche e spezza
le redini di affetti incontrollati. 
Ora l’infante potrà camminare                    
con l’equilibrio che porta le braccia  
a sollevarsi inermi dalla terra.
È un giorno strabico, e le persone                
s’affacciano sul proprio sangue fermo          
chiedendo dove sbuca la corrente
che spinge rossa e perfora gli occhi.             
L’obitorio è un lago calmo: le barche
ovali come il seme di una donna,
la carne dove dorme sempre un figlio.