Nella prosa di Francesca Traìna i ritmi del verso
Se il ritmo vive dentro, è impossibile allontanarlo. Neanche se si decide di scrivere e non poetare, neanche se ci si rende perfettamente conto che i romanzi sono per tutti e i versi per pochi. È capitato anche a Francesca Traìna preside palermitana che ha esordito in poesia nel lontano 1989 con la plaquette Luce obliqua. Oggi dà alle stampe Linee di ritorno, primo romanzo pubblicato dalla leccese Manni, libro sui generis perché la storia, le immagini assolute si perdono nelle pieghe di una prosa debitrice al verso. «Finora ho scritto soprattutto poesie, ma qualche tempo fa ho sentito forte il tentativo di fare prosa e raccontare –spiega Francesca Traìna–, ma ben presto mi sono resa conto che finivo per usare gli stessi esametri ed endecasillabi». Lo nota Maria Luisa Spaziani che nella prefazione al libro scrive «se il ritmo è nel dna non se ne può fare a meno. E Francesca Traìna deve essere letta in profondità, non deve essere parafrasata né troppo spiegata. La sua nostalgia del passato si affida a un movimento di risacca e questo è il segno di una grande vitalità».
«Narro qualcosa che mi appartiene ed è rimasto dentro di me –racconta Traìna– come memoria di fatti più o meno recenti; sento l’urgenza di riconciliare cose interiori con un passato che non mi veniva incontro. Ho cercato di distendere queste linee perché il passato riuscisse ad incontrare il presente, riconoscerlo e rinominarlo».
Francesca Traìna è rimasta molto segnata dalle stragi di via D’Amelio. Dalla sua raccolta di versi Dentro gli anni è venuto fuori pian piano il testo Neve di marzo e un cd con musiche originali di Giuseppe Milici, dedicati ai giudici Falcone e Borsellino. Tra i progetti della scrittrice, poesie e ancora poesie. «Non smetto di scrivere, soprattutto poesie e saggi sulla letteratura al femminile. Cerco di parlare di autrici e scrittrici ignorate. Non so quando e se le pubblicherò».