Quando per i figli la famiglia diventa un ostacolo, di Eliana Forcignanò
La brutalità dell’esistenza squadernata in un romanzo dallo stile duro ed essenziale, con una scrittura organizzata per quadri che realizzano l’obiettivo di focalizzare l’attenzione del lettore sui personaggi che, di volta in volta, animano la narrazione. È My sweet family, il romanzo di Francesco Venditti, figlio del celebre cantautore Antonello Venditti e già versato in campo cinematografico: il libro, edito da Piero Manni, è stato presentato alla presenza dell’autore lo scorso martedì pomeriggio nei locali di Apuliae Librerie. A introdurre il dibattito culturale Mauro Marino, operatore culturale responsabile dell’associazione Fondo Verri di Lecce.
Francesco è perfettamente a suo agio dinanzi al pubblico dei lettori: parla della sua avventura di scrittore con entusiasmo e tiene a precisare che si tratta di una vena creativa genuina, un’esigenza che ha sentito la necessità di soddisfare e che lo ha condotto a esprimersi attraverso l’invenzione di questa storia. Le storie, tuttavia, non basta inventarle, bisogna anche essere in grado di raccontarle in maniera accattivante: Francesco Venditti è riuscito perfettamente nel suo intento adottando un tono secco, a tratti cinico, connotato sovente da frasi nominali e climax di sensazioni che investono il lettore come dardi rapidi e infuocati. Sensazioni fisiche, sensazioni emotive, grazie allo stile scevro da retorica, al tono diretto e, per così dire, irriguardoso, giungono con straordinaria immediatezza, provocano curiosità, rabbia, scandalo in un movimento interiore che è di pura catarsi sia da parte di chi scrive che da quella di chi legge.
“Tutti abbiamo una sofferenza” –afferma Luca, giovane protagonista della storia nonché io narrante: questa sofferenza, questa rabbia senza freno divengono il filo conduttore, il collante dei diversi quadri che compongono il romanzo. Luca è un ragazzo “con il cervello che scalpita” e il naso che stilla continuamente sangue, proprio come dal suo cuore stilla continuamente amarezza. Luca: sin dalla più tenera età messo al corrente dei grandi drammi che popolano la vita, con una madre cieca sottratta troppo presto dalla morte all’affetto del figlio; un padre che finisce per consolarsi con una prostituta –e nemmeno una qualsiasi, ma Silvia, la sorella del miglior amico di Luca!– e che subisce l’onta di essere scoperto e picchiato dal proprio figlio, come se, di colpo, i ruoli si fossero invertiti; uno zio psicoanalista che confessa in lacrime al nipote di aver ascoltato impotente via telefono un suo paziente che stuprava la moglie. Ovvia l’intuizione che My sweet family sia un titolo ironico.
Luca: quanta confusione nella testa, quanto dolore ricacciato faticosamente in gola, quanta energia che scoppia nel petto e che alcool e droga non bastano a sopire. Luca: personaggio a suo modo ribelle che non vuol crescere circondato da rimpianti che appartengono a generazioni passate, che non si rassegna a un’esistenza mediocre e ingabbiata nel passato, che vuole scappare in automobile accompagnato soltanto dal suo cane Woody. Tuttavia è davvero sufficiente fuggire, cambiare fisicamente luogo per cambiare vita? È sufficiente andarsene o rinchiudersi in una campana di vetro aspettando che qualcuno cambi le cose per noi? No, bisogna rimanere in prima linea, tener duro e andare avanti. Bisogna rimanere e metterci tutto l’amore di cui siamo capaci, anche se, a volte, la vita fa soffrire e nulla sembra andare per il verso giusto, anche se il carattere e la condotta di quanti ci circondano non rispondono esattamente alle nostre attese –senza dubbio, nemmeno il nostro carattere e la nostra condotta rispondono alle loro e, d’altronde, sarebbe una bella noia se fossimo tutti a immagine e somiglianza gli uni degli altri!– bisogna rimanere, rimanere e non aver paura di amare. Il romanzo di Venditti non racconta soltanto una caduta, bensì anche una rinascita, la rinascita del protagonista, emblema dell’attuale gioventù sempre in cerca di se stessa.