La mia tribù e altri animali, intervista di Silvia Del Vecchio
“La mia è una famiglia particolare. Fatta di padri e patrigni, nonni, nonnini, e di un’armata di zii, cugini e nipoti. Una tribù, in cui negli anni tutti abbiamo imparato a conoscerci. Molte volte si lavora insieme, altre volte si litiga. È normale”. È la tribù di Francesco Venditti, 29 anni, figlio del cantautore romano Antonello Venditti e di Simona Izzo, attualmente moglie di Ricki Tognazzi. Francesco è sposato con Alexandra La Capria, pure lei figlia d’arte: il padre è lo scrittore Raffaele La Capria, la madre l’attrice Ilaria Occhini. A maggio Venditti jr. ha pubblicato il suo primo libro, My sweet family, il libro fa pensare a un romanzo autobiografico, ma in realtà, ci confessa, della sua famiglia parla poco. “Sarebbe stato facile e di cattivo gusto parlare della mia famiglia. Le sensazioni, gli stati d’animo, il dolore, i modi di fare e di dire, quelli sì sono veri, ogni personaggio ha qualcosa di mio in questo senso”.
Perché però è partito dalla famiglia per scrivere il suo primo libro?
Perché la famiglia è la prima ‘società’ che un bambino conosce, e purtroppo spesso è lo specchio di quello che c’è fuori. E poi per invogliare chi lo leggerà, e magari si ritroverà in quello che racconto, a non accettare troppi compromessi, a dire la sua, ma anche a darsi un abbraccio quando ce n’è bisogno o un ceffone quando serve, perché sfogarsi è importante.
Resterà un episodio isolato oppure scriverà ancora?
Continuerò sia a scrivere che a fare l’attore, sono due cose complementari perché spesso anche nella recitazione invento e scrivo i miei personaggi. Raccontando e recitando si esce da se stessi e si entra in altre vite, è questo che mi piace. My sweet family è nato sul set di Fate come noi, dove ho incontrato un ragazzo che stava per partire, con il suo cane e la sua auto piena di cose. Mi disse, “questa è l’ultima sigaretta che fumo qui, con un romano a Roma”, e io incuriosito gli ho chiesto perché. È stato lo spunto per raccontare una storia.
Cosa ama di più della sua grande “tribù”?
C’è stato un periodo della mia vita in cui vedevo nero e per me è stato difficile vivere in una famiglia così particolare, ma poi col tempo l’ho apprezzata. La cosa che mi piace di più è la complicità, l’appoggio che ci si dà, però bisogna cercare sempre di mantenere l’autocritica e la libertà nella visione del mondo. La famiglia allargata non è letale insomma, può essere stimolante, e poi oggi è uno stile di vita molto comune.