Francesco Venditti, My sweet family

08-09-2005

Caro papà, ti invidio tanto il '68, di Mirella Serri


Ventinove anni compiuti proprio ieri l’altro, sotto il segno della Vergine. Ma domani ritorna ragazzino, rientra nel ruolo di figlio. Strana sorte quella di Francesco Venditti, attore e prole d’arte di Simona Izzo e di Antonello, nato sotto il segno dei Pesci. Nella fiction di Canale 5, che Francesco sta registrando in questi giorni -Questa è la mia terra (in onda nel 2006)-, è il giovane rampollo di una famiglia di contadini. Sotto i riflettori Francesco sarà, come spesso gli capita, figlio (di Nino Castelnuovo). In questo caso con vanga e falcetto. Mentre nella vita, in quella vera, l’attore ha iniziato giovanissimo, a 22 anni, la carriera di padre di Alice e Matteo.
Strano destino, veramente, quello di Francesco che cerca ostinatamente il ruolo di padre ma interpreta sempre quello di figlio. Camicia orientale e sandali da frate, vive nell’appartamento a Trastevere dove rannicchiato in poltrona ascoltava papà Antonello suonare il pianoforte con le finestre aperte e con i vicini che alla fine applaudivano. È ora il gran momento di Francesco: all’inizio dell’estate è uscito Gas con la regia di Luciano Melchionna, una piccola Arancia meccanica del Duemila, film pulp di rara violenza in cui Venditti junior e il suo violento branco, figli di una provincia del benessere, si divertono con gratuite sevizie. E il 28 settembre sarà sugli schermi una pellicola tra le più attese della stagione, Romanzo criminale, regia di Michele Placido e con Stefano Accorsi, storia della gang della Magliana. Il cocainomane Bufalo, interpretato da Francesco, ancora e sempre figlio, è la creatura più efferata procreata dal gran ventre della mala. Di recente Francesco ha poi pubblicato la sua prima fatica narrativa (“Non so come definirla, un delirio, una sbornia di passato e presente in cui ci si rotola nel sangue, nella bile e nel fango, nutrendo la speranza di crescere e di essere accettati”). Anche qui è prepotente la voce della famiglia: la prima scena di My sweet family, dedicata a “Mio padre”, è da raccapriccio, con l’erede che pesta il genitore fino a ridurlo in sanguinolenta polpetta.
Un marchio e un destino, di essere sempre figli? “È la caratteristica della mia generazione di trentenni di essere impegnati ancora adesso nella professione-figlio. Antonello nel 1973 scriveva Mio padre ha un buco in gola che terminava con l’assassinio del genitore. Era un modo per lui di portare a termine la sua maturazione. Ma lui apparteneva alla generazione che ha fatto il ’68, aveva un padre da accoltellare: che rappresentava le idee sbagliate, la borghesia ipocrita e fasulla, lo stereotipo della famiglia, la povertà globale. Noi trentenni non abbiamo avuto un avversario ma nemmeno una bandiera politica. Siamo cresciuti guardando con ammirata invidia ai nostri padri”.
La generazione dei figli perenni aspetta insomma di salire alla ribalta: a Roma la chiamerebbero dei “rosiconi”, di quelli del “vorrei ma non posso”: suo padre cantava “che fantastica storia è la vita” e lei, di rimando, nel suo libro scrive “che sfiga è la vita”. Ci si ritrova? “Noi siamo gli ex ragazzini che in tivù venivano accecati dai lampi della guerra del Golfo delle cui ragioni ce ne fregavamo, tanto non ne discutevamo mai tutti insieme. Siamo poi cresciuti respirando l’aria di Tangentopoli che ha azzerato in noi ogni desiderio di politica e anche di socialità”. Ad Antonello cosa invidia? “Una volta ho assistito a un incontro con un suo compagno di liceo, andavano insieme al Giulio Cesare. Avevano un linguaggio particolare. La loro memoria era mito. La generazione di mio padre se tirava le molotov lo faceva per abbattere un sistema di valori. Io una volta ne ho buttata una nel giardino di un vicino. Non mi affittava il campo da tennis”.
La sua “famigliona” allargata –venticinque parenti da parte di madre a cui si aggiungono quelli di Richi Tognazzi, marito di Simona, che mantiene rapporti affettuosi con gli ex, Antonello e Maurizio Costanzo, a cui si aggiungono i genitori di sua moglie Alexandra La Capria, anche lei figlia d’arte, di Raffaele e di Ilaria Occhini– non la fa sentire adulto e non la protegge? “Adolescente mi sentivo in colpa per il nome famoso. Una volta a un centro sociale mi hanno dato del fascista perché indossavo il bomber. Andavo a scuola privata, al Nazareno, dove il massimo della trasgressione era l’orecchino. Tra i ragazzi giravano le anfetamine a pacchi che provocano appunto gesti di vandalismo incontrollato. Allora ammiravo molto Marco Pannella. Poi la grande disillusione e il distacco dalla politica. Siamo cresciuti sottovuoto, lo dice bene Ligabue, siamo quelli che hanno l’ “anima in plexiglas”. Oggi per noi la cosa più difficile è uscire dalla famiglia”.