Francesco Venditti, My sweet family

03-10-2005

Libri, di Marta Topis


Il cognome è ingombrante, ma lui, invece di fare il cantante come papà, è diventato attore e doppiatore e ora si cimenta nella scrittura sotto le ali di un editore salentino. Più che un romanzo, questo è (parole dell'autore) un susseguirsi incessante dei fotogrammi che compongono lo story-board di una vita, quella della famiglia del protagonista, che ce la vomita addosso tra chiazze di sangue, canne, ecstasy, Prozac, parolacce e sproloqui assortiti. Frasi e parole apparentemente in libertà, di cui va inseguito il senso logico e che, se non altro, si distinguono nel panorama editoriale. Graaaaazie Francesco...


04/11/2005 Avvenimenti
Poema-rap sullo zoo familiare, di Filippo La Porta


L’io narrate di My sweet family di Francesco Venditti (Manni, 12 euro, 133 pagine) si presenta decisamente come un cattivo ragazzo: picchia il padre, è corresponsabile della morte della amata nonna, quando vede il piercing della cugina vorrebbe strapparglielo a sangue, ha spesso fantasie sado-maso, sente che il cervello è "una zuppa di fagioli a 100 gradi", vomita di continuo insulti e invettive contro il prossimo, si stordisce con alcool e droga. Difficile affezionarsi a un personaggio del genere. Eppure dietro questa immagine così truculenta sentiamo che si agita qualcos’altro: forse una messinscena “strategica” o magari un inconsapevole autolesionismo o il desiderio di sfogarsi una volta per tutte (quasi una deiezione, un rito di svuotamento). Voglio ricordare che l’immaginario violento e orroroso che attraversa queste pagine non appartiene interamente al suo protagonista: è come una gigantesca cloaca sociale –tutti ne siamo coinvolti– da cui ciascuno può però prendere (parzialmente) le distanze. E anzi a lettura finita ci accorgiamo che Luca (così si chiama) è un’anima candida, di una ragazzo incline ad un romanticismo disarmato, teneramente innamorato della madre non vedente ("Passeggiavamo insieme, le facevo sentire l’aria fra i capelli"). Certo, sa che il suo cuore è buio, perverso, avvelenato, ma quando scopre che il suo cuore è buio, perverso, avvelenato, ma quando scopre che “il nero” che ha dentro di lui ce l’ha anche la cugina, la abbraccia forte: "Vorrei soffocarla./Un abbraccio d’amore". E poi quando addormenta con la piccola, adorante nipotina si mette a dialogare idealmente con gli animali dello zoo di famiglia che gira: "Guardo il 'mio' leone./Mi sorride./la Stella, mi tira un bacio./La Zebra, mi ringrazia con gli occhi". Pensavamo di stare dentro Arancia meccanica e ci ritroviamo in una rugiadosa scena disneyana
Il merito di questo insolito diario-romanzo –interamente scritto in versi, benché senza alcuna metrica– sta nell’aver affrontato intrepidamente il nostro fantasma nazionale, e cioè la Famiglia: "Se tutti i nodi vengono al pettine, il Natale è il pettine delle famiglie". "Natale vuole tutti uniti, è questo lo sbaglio./Felici e buoni. Il punto è questo". Da una parte lui odia l’ipocrisia, il teatro quotidiano della falsa armonia, la rimozione o edulcorazione dei conflitti. Dall’altra aspira a essere “buono e felice”, ad avere una famiglia veramente unita e armoniosa. Di chi è la colpa? Ho l’impressione che Luca raggiunge una qualche maturazione quando scopre che le colpe non vanno cercate negli altri. La famiglia implode soprattutto per una ragione: lui le chiede troppo. La sua richiesta d’amore –agli altri, al mondo– è smisurata. Non è affatto un sovversivo. Casomai un tradizionalista ferito a morte, un familista deluso. Il testo è scritto come un poema-rap, con una espressività marcata ("gli scalini delle scale piangono sotto i miei anfibi lucidati"), ma –ci perdoni l’autore– qua e là affiora un lirismo sentimentale e assertivo che ci ricorda il padre ("La vita. Cono salato"). Tutto è poi gridato, iperbolico, in un libro volutamente sgradevole. Una personalissima cadenza ritmica si impone alla lettura e la fa vibrare. Il suo limite letterario consiste nell’essere poco variato. Nelle pagine più sognanti o dolcemente effusive o perfino utopiche (una delle utopie dell’autore? Essere “ultrà buoni”) il ritmo non cambia abbastanza. Va bene che il protagonista è adrenalinico. Ma non è soltanto adrenalinico. Mi sembra invece che il tono concitato, rabbioso, la sintassi uniformemente percussiva, si estendano per forza d’inerzia a tutto quanto.


02/11/2005 La Repubblica - Bari
Quando il noir passa in Internet, di Ignazio Minerva


Intorno all’esordio letterario dell’attore ventinovenne Francesco Venditti, figlio di Antonello e di Simona Izzo, si è scritto molto. E si è cercato di scavare, nel testo e nel suo autore, per capire quanto ci fosse di autobiografico nel “quadro” alla Tarantino con un ragazzo che massacra di botte il padre e lo riduce a un “manichino smontato”, a una “scultura moderna”.
Venditti junior ha smentito qualunque desiderio di chiudere i conti, capitolo dopo capitolo, con i singoli componenti della famiglia. Tutto è inventato, “a parte il dolore, che è sempre autobiografico”. Con questo buon “noir di ambientazione familiare” scritto dal figlio di due celebrità della musica e del cinema italiani, l’editore salentino Manni inaugura una nuova sezione nel sito web in cui vengono messi a disposizione interi romanzi. Grazie ai copyleft, un concetto diametralmente opposto al copyright, sino a fine novembre tutti potranno scaricare gratuitamente My sweet family, leggerlo e condividerlo con gli amici e con un pubblico di lettori potenzialmente infinito, quello della rete. “In Italia siamo i primi editori a portare avanti questa politica sul diritto d’autore” commenta Grazia Manni, presidente della Casa Editrice, “ripercorrendo il solco tracciato dal collettivo bolognese Wu Ming. E lo facciamo partendo da un libro visionario, travagliato e intenso, che dà voce al complesso universo della generazione dei trentenni”. Del resto il copyleft sul campo ha ribaltato l’uguaglianza copia scaricata = copia venduta. Il lettore può “provare” il prodotto e decidere, per esempio, di regalarlo in versione cartacea o consigliarlo ad altri. “Il copyleft” aggiunge Manni “comunque fa aumentare le vendite: nessuno potrà mai rinunciare al fascino di un libro vero, al suono delle pagine e alla comodità di poterlo portare sempre con sé”.


28/11/2005 RaraMente.net
Meno diritti (d'autore) per tutti, di Daniela Primerano


Manni Editori è una piccola casa editrice nata in terra pugliese nel 1984 con la pubblicazione di una rivista letteraria, “L’immaginazione”, e cresciuta sotto il segno della letteratura e della poesia: il primo libro pubblicato è Segni di poesia/lingua di pace (1985).
Oggi Manni è il primo editore in Italia a optare per una scelta coraggiosa e innovativa. Il 7 Ottobre 2005, infatti, è stata inaugurata una nuova sezione, sul sito web www.mannieditori.it, dalla quale è possibile scaricare gratuitamente la versione completa di un romanzo con un semplice clic del mouse.
La casa editrice salentina fa sua una nuova politica sul diritto d’autore ripercorrendo il solco tracciato all’estero da un numero sempre maggiore di aziende.
Questo percorso all’insegna del digitale prende il via con un libro che ha fatto molto parlare di sé, forse anche a causa dell’illustre parentela dell’autore: My sweet family è il romanzo d’esordio di Francesco Venditti, ventinovenne attore di talento, che vuole assolutamente dimostrare di non essere solo “figlio di”.
Alle domande su quanto ci sia di autobiografico nella storia di un ragazzo pieno di rabbia che si augura la morte della madre, distrugge a bastonate il padre e dopo aver fatto il pieno di alcol e droga spera di morire, Francesco ha sempre risposto che di vero c’è solo la sofferenza, tutto il resto è frutto d’invenzione.
Al libro di Venditti, che rimarrà sul sito per un mese, seguiranno altri romanzi da poter scaricare con le stesse modalità.
Incuriositi da questa interessante possibilità abbiamo deciso di intervistare Giancarlo Greco, responsabile dei progetti per Manni Editori, per parlare di editoria digitale e diritto d’autore:
Il digitale sta prendendo piede anche nel nostro paese e sul sito internet di Manni Editori fa capolino il primo e-book scaricabile gratuitamente. Com’è avvenuto l’incontro tra una casa editrice di ventennale tradizione e questo nuovo formato?
Da sempre Manni Editori ha avuto una posizione particolare nei confronti del diritto d’autore. Basti pensare che non siamo iscritti alla Siae e che – tranne pochi casi e sempre perché richiesto dall’autore – non usiamo i bollini Siae per tutelare le copie dei nostri libri, anche perché è più che noto come questa struttura fagociti la stragrande maggioranza dei suoi introiti per il proprio mantenimento. È stato naturale, quindi, il tentativo di affacciarci nel mondo del cosiddetto copyleft, e lo abbiamo fatto dopo aver rodato il nostro sito internet per un anno. Le statistiche sulle visite, sempre più numerose, i consensi ricevuti e il successo di iniziative simili soprattutto all’estero (Stati Uniti per esempio) ci hanno convinto della bontà di questa iniziativa sia dal punto di vista commerciale (è dimostrato sul campo e con appositi studi che dare la possibilità di scaricare e “provare” il libro ne aumenta le vendite) che dal punto di vista politico e sociale (non gravare sulle tasche di chi non può permettersi di spendere 15 euro per un libro).
Come mai avete deciso di puntare proprio sul libro di Francesco Venditti, My sweet family?
Il download gratuito dei libri è produttivo e anche redditizio se il libro è di valore, se chi lo scarica e lo legge ne parla sul proprio blog o agli amici, se poi ne consiglia ad altri la lettura, o meglio lo regala aumentandone le vendite in libreria. Va da sé che se invece il libro è brutto, subito dopo il download finisce nel cestino del desktop. Venditti ci sembrava adatto a questa operazione perché è nuovo, di qualità e destinato ad un pubblico giovane, lo stesso che utilizza prioritariamente internet. Direi che la scelta, a due mesi dall’iniziativa e con oltre 500 download dal nostro sito, ci ha premiati.
Se come lei dice quella dell’e-book gratuito è una scelta che premia anche economicamente, quali sono i motivi per cui un’idea innovativa come questa è venuta in mente a Manni Editori piuttosto che a Mondadori o Feltrinelli?
Il mercato editoriale in Italia ruota attorno a pochissimi gruppi economici che fatturano molto e sono molto presenti nelle librerie. Per questo, probabilmente, non sentono l’esigenza di esplorare nuove strade. Per una piccola casa editrice come la nostra, un’operazione del genere può risultare determinante sia in termini di vendite che di promozione del marchio, dell’autore e del nostro catalogo.
Siete a conoscenza del pensiero del collettivo Wu Ming in materia di copyright e copyleft?
Crediamo che il valore del lavoro di Wu Ming in Italia sia straordinario: hanno aperto la strada al dibattito sul copyleft ed hanno dimostrato empiricamente come questa strategia sia conciliabile anche con le legittime esigenze di vendita e guadagno del mondo dell’editoria. Sono stati l’elemento che ci ha convinti a realizzare questo nostro piccolo progetto e non possiamo che essere d’accordo con il loro pensiero.
A proposito di e-book, cosa ne pensa, da editore, della possibilità di scaricare libri e software digitali su un supporto elettronico? E da lettore?
Sia da editore che da lettore sono affezionato al fascino dell’oggetto libro, alla sua consistenza e al rumore delle pagine. Credo anche che sia stancante leggere su di uno schermo luminoso di un computer o di un i-pod un intero libro. Personalmente preferisco il libro tradizionale. Gli strumenti digitali sono un ottimo supporto, un modo nuovo, efficace e interessante per lavorare, studiare e accompagnare determinati tipi di libri ma non credo sostituiranno mai un bel tomo di carta.
Secondo lei le nuove tecnologie possono aiutare la letteratura? Come?
Il web innanzitutto: la possibilità di comunicare, far circolare idee, lavori, opinioni con grande velocità, istantaneamente e a costi irrisori. Internet è uno strumento straordinario e al tempo stesso delicato, che occorre saper usare bene e in cui è ancora troppo facile perdersi.
Negli ultimi anni sono nati decine e decine di blog che parlano di letteratura, di poesia e narrativa, centinaia di siti e molte riviste on line con migliaia di utenti e visitatori. Anche le stesse case editrici cominciano ad usare i propri siti per far circolare letteratura e non soltanto come statica vetrina commerciale per i libri. Questo mi pare essere l’elemento tecnologico chiave per la diffusione della letteratura e dei saperi in genere.


06/12/2005 Stilos
Come cercare sé stessi a ventidue anni, di Anna Longoni


Una bella sorpresa l’esordio di un giovane scrittore già noto come doppiatore e attore, nonché come «figlio di» (gli illustri genitori, Antonello Venditti e Simona Izzo, e il suocero Raffaele La Capria vengono rigorosamente ringraziati in explicit). Una condizione di cui Venditti sulla soglia del romanzo sembra ironicamente, e scaramanticamente, prendersi gioco strizzando l’occhio al lettore con il titolo My sweet family: il gioco di un attimo perché di ben altro significato il titolo si carica una volta oltrepassata la soglia.
Il protagonista è Luca, un ventiduenne che ricerca se stesso osservando la propria famiglia con lo sguardo appannato di chi dopo una canna o una bottiglia di gin vede dettagli dilatati e paradossalmente rivelatori. Ci sono i morti: la madre, cieca, a cui da ragazzino regalava il proprio sguardo sul mondo (proteggendosi così da quello stesso mondo osservato solo per lei e mai vissuto); un nonno compositore ed ex soldato, che iniziava le proprie giornate sparando contro barattoli di pelati (pieni, perché simulassero il sangue dei nemici); ci sono i vivi: un padre sorpreso in auto con una prostituta (e per questo massacrato di botte); una zia che vive con lucida amarezza il fallimento della propria vita (puntando tutto sulla figlia); una nipote bambina che parla come un’adulta (e gli regala briciole di dolcezza e saggezza); uno zio psichiatra vittima lui stesso della malattia che dovrebbe curare (che cerca nel nipote la vigliacca condivisione di un comportamento vergognoso e colpevole); una nonna che si uccide con il prozac (che si è fatta dare da Luca); una cugina, conosciuta proprio al funerale della nonna, che lo seduce; un amico con cui si incontra alle partite di calcio per parlare d’altro; il cane Woody che in macchina gli siede accanto protetto dalla cintura di sicurezza (abilissimo portiere nelle partite che i due giocano in casa).
A ognuno di loro è dedicato un breve capitolo di un lungo monologo nel quale le parole si rincorrono in rapida, vorticosa discesa per poi spegnersi in brusche interruzioni; uno stile fatto di frasi secche, talora brevissime, spezzate, spesso in forma nominale, che assumono una misura più articolata solo nelle battute di dialogo, quasi a sottolineare che a essere ingolfata è proprio la voce dell’io narrante. Una voce impregnata di slang giovanile, che grida violenza e odio, che si fa in alcuni passaggi stridula perché Luca è imbarazzato dai propri sentimenti, è spaventato dalle proprie passioni e da quelle altrui, dai propri e dagli altrui fallimenti: per questo picchia, urla, insulta. Per soffocare l’attesa di una domanda che lo stani: quella domanda che gli rivolgono prima il padre e poi la nonna (ma anche lei troppo tardi): «Come stai va… tutto bene… eh Luca…?». Una domanda per la quale si accorge di non avere una risposta. Il linguaggio è quello franto e allusivo dei sogni e delle allucinazioni che scorrono nella coscienza del protagonista, il ritmo è quello della sceneggiatura (come accade spesso nelle scritture scorciate, da Flaiano a Bufalino). Una scrittura che qualche volta rischia la maniera ma che viene perlopiù dominata con sicurezza.


01/03/2006 - www.alambicco.com


La libertà della scrittura, di Giancarlo Greco


Francesco, come è nata la voglia di oltrepassare i binari della recitazione per scrivere un romanzo?
In realtà è stato tutto molto naturale. Ogni volta che devo prepararmi ad interpretare un personaggio, mi metto a scrivere la sua storia immaginando un prima e un dopo rispetto alla trama del film, ma anche tentando di entrare nella sua personalità, nel suo modo di vedere e sentire il mondo attorno. Questo soprattutto per i personaggi "difficili", torbidi, che meno mi piacciono.
My sweet family è nato più o meno in questa maniera. Una sera a Roma, in una pausa di lavorazione di un film, ero fuori a fumare una sigaretta. Mi avvicina un ragazzo e mi chiede se gli offrivo da fumare. Ci siamo messi a parlare e mi ha detto "questa è l'ultima sigaretta che fumo a Roma; questa non è più la mia città, non la riconosco". Salì in macchina, una uno rossa traboccante di valigie e di altre cose, prese il suo cane e andò via. Io mi dissi subito che avrei voluto raccontare la storia di Luca prima di quell'incontro.
Mi domandi perché la scrittura? Semplice, perché è uno dei pochi casi in cui si può essere completamente liberi. Questo grazie anche al mio editore che non ragiona soltanto in termini di mercato e cha ci ha creduto. Oggi, nel nostro paese, i libri di successo vengono pubblicati sapendo già che saranno sceneggiature per film, sono tutti uguali, tutti standardizzati. Manni è uno dei pochi editori che permette alla letteratura libera di continuare ad esistere.
Che storia è questa di Luca?
Una storia difficile, scritta come se fosse un lungo monologo interiore, di un giovane ventenne "trasparente" alla sua famiglia che dice di conoscerlo ma che in realtà non riesce a comunicare con lui. La storia di un rapporto duro, sincero, a volte quasi un incubo che non lascia mai in pace il lettore. Sicuramente non è un libro da sdraio, richiede la predisposizione a sentirsi attaccati, ad incassare colpi diretti ai fianchi ed allo stomaco, a mettersi in gioco e a mettere in gioco i propri sentimenti.
Molta critica ha accolto il tuo libro parlando di un'autobiografia. Quanto è pesato al libro e a te come scrittore, l'essere figlio di Antonello Venditti e Simona Izzo? Moltissimo. Ha penalizzato il libro perché in molti hanno subito pensato al solito figlio di papà raccomandato. Sia chiara una cosa: ogni libro è autobiografico e ogni libro non lo è anche perché, nel momento stesso in cui viene pubblicato, il libro non è più di chi l'ha scritto ma del pubblico che lo legge. La vicenda di Luca e il suo odio per il padre non è certo la mia vicenda, perché con mio padre ho un ottimo rapporto e una grande stima reciproca. Tuttavia ci sono sensazioni comuni a tutti gli adolescenti. Queste sensazioni sono anche autobiografiche, sono le mie, quelle della mia famiglia, dei miei amici, del mio mondo.
C'è un personaggio molto bello nel libro, una bambina.
Sì, è un po' la coscienza di Luca, il suo grillo parlante.
Perché questo ruolo proprio ad una bambina di 8 anni?
Perché i bambini hanno dei grandi poteri che crescendo scompaiono, quindi occorre saperli sfruttare finché ci sono.
Accennavi alla tua famiglia "famosa". Come ha accolto il libro tuo padre?
Benissimo; è stata la seconda persona a leggerlo e mi ha incoraggiato sommergendomi di complimenti. Ma in genere tutta la mia famiglia mi ha fatto i complimenti.
Quali sono adesso i tuoi progetti? Pensi di continuare a scrivere?
Adesso ho appena girato La freccia nera che andrà in onda in autunno. Tra un mese sarò impegnato con un'altra fiction, questa volta sui Mille di Garibaldi, dove interpreterò un comandante romano della spedizione. Poi ci sono molti progetti in cantiere. Tra questi anche un secondo libro, altrettando difficile come questo: la storia di due fratelli che gravita attorno al tema tabù dell'eutanasia.
Ti piacerebbe che il libro diventasse un film?
No. Non in Italia almeno. Il nostro cinema è troppo accomodante, semplice, buonista. La mia storia è crudele e cruda, da questo cinema verrebbe banalizzata. Lo darei forse in Inghilterra, dove sono molto più bravi di noi in questo. Mi piacerebbe però intepretare il protagonista, questo sì. Magari in uno spettacolo teatrale d'avanguardia.


02/03/2006 - Paese Nuovo
Quando per i figli la famiglia diventa un ostacolo, di Eliana Forcignanò


La brutalità dell’esistenza squadernata in un romanzo dallo stile duro ed essenziale, con una scrittura organizzata per quadri che realizzano l’obiettivo di focalizzare l’attenzione del lettore sui personaggi che, di volta in volta, animano la narrazione. È My sweet family il romanzo di Francesco Venditti, figlio del celebre cantautore Antonello Venditti e già versato in campo cinematografico: il libro, edito da Piero Manni, è stato presentato alla presenza dell’autore lo scorso martedì pomeriggio nei locali di Apuliae Librerie. A introdurre il dibattito culturale Mauro Marino, operatore culturale responsabile dell’associazione Fondo Verri di Lecce.
Francesco è perfettamente a suo agio dinanzi al pubblico dei lettori: parla della sua avventura di scrittore con entusiasmo e tiene a precisare che si tratta di una vena creativa genuina, un’esigenza che ha sentito la necessità di soddisfare e che lo ha condotto a esprimersi attraverso l’invenzione di questa storia. Le storie, tuttavia, non basta inventarle, bisogna anche essere in grado di raccontarle in maniera accattivante: Francesco Venditti è riuscito perfettamente nel suo intento adottando un tono secco, a tratti cinico, connotato sovente da frasi nominali e climax di sensazioni che investono il lettore come dardi rapidi e infuocati. Sensazioni fisiche, sensazioni emotive, grazie allo stile scevro da retorica, al tono diretto e, per così dire, irriguardoso, giungono con straordinaria immediatezza, provocano curiosità, rabbia, scandalo in un movimento interiore che è di pura catarsi sia da parte di chi scrive che da quella di chi legge.
“Tutti abbiamo una sofferenza” –afferma Luca, giovane protagonista della storia nonché io narrante: questa sofferenza, questa rabbia senza freno divengono il filo conduttore, il collante dei diversi quadri che compongono il romanzo. Luca è un ragazzo “con il cervello che scalpita” e il naso che stilla continuamente sangue, proprio come dal suo cuore stilla continuamente amarezza. Luca: sin dalla più tenera età messo al corrente dei grandi drammi che popolano la vita, con una madre cieca sottratta troppo presto dalla morte all’affetto del figlio; un padre che finisce per consolarsi con una prostituta –e nemmeno una qualsiasi, ma Silvia, la sorella del miglior amico di Luca!– e che subisce l’onta di essere scoperto e picchiato dal proprio figlio, come se, di colpo, i ruoli si fossero invertiti; uno zio psicoanalista che confessa in lacrime al nipote di aver ascoltato impotente via telefono un suo paziente che stuprava la moglie. Ovvia l’intuizione che My sweet family sia un titolo ironico.
Luca: quanta confusione nella testa, quanto dolore ricacciato faticosamente in gola, quanta energia che scoppia nel petto e che alcool e droga non bastano a sopire. Luca: personaggio a suo modo ribelle che non vuol crescere circondato da rimpianti che appartengono a generazioni passate, che non si rassegna a un’esistenza mediocre e ingabbiata nel passato, che vuole scappare in automobile accompagnato soltanto dal suo cane Woody. Tuttavia è davvero sufficiente fuggire, cambiare fisicamente luogo per cambiare vita? È sufficiente andarsene o rinchiudersi in una campana di vetro aspettando che qualcuno cambi le cose per noi? No, bisogna rimanere in prima linea, tener duro e andare avanti. Bisogna rimanere e metterci tutto l’amore di cui siamo capaci, anche se, a volte, la vita fa soffrire e nulla sembra andare per il verso giusto, anche se il carattere e la condotta di quanti ci circondano non rispondono esattamente alle nostre attese –senza dubbio, nemmeno il nostro carattere e la nostra condotta rispondono alle loro e, d’altronde, sarebbe una bella noia se fossimo tutti a immagine e somiglianza gli uni degli altri!– bisogna rimanere, rimanere e non aver paura di amare. Il romanzo di Venditti non racconta soltanto una caduta, bensì anche una rinascita, la rinascita del protagonista, emblema dell’attuale gioventù sempre in cerca di se stessa.