La recensione, di Giuseppe Vinci
Ho letto L’aggiustatore di destini e ho faticato a non sentirmi il protagonista, il dr Nilo, perché ho sentito parte della mia vita le sue storie cliniche, i suoi vissuti, la sua passione per il lavoro e per le persone che lo coinvolgono, la sua tensione etica (il desiderio e lo sforzo di essere giusti). Il romanzo è anche, infatti, un libro sulla psicoterapia o, meglio, su una certa idea della psicoterapia che è giusto raccontare e proporre per contribuire a svilupparlo. Il lavoro degli psicoterapeuti è tanto importante per chi lo fa e per chi può usarlo per star meglio, quanto ancora incompiuto, fragile, contrastato.
Ma il romanzo di Franco Colizzi è un bel romanzo, prima di tutto, e quindi un libro che narra storie di vite e ci fa vedere e sentire emozioni, ci fa sentire vivi perché L’aggiustatore di destini è un libro sulla volontà, il desiderio, la passione di vivere e far vivere.
Il dottor Nilo, preciso alter ego del dottor Colizzi, vuole farci conoscere il suo faticoso ma meraviglioso mondo, denso di volontà/desideri/passioni: l’aiutare chi il destino ci porta a incontrare (cioè noi stessi nel corpo degli altri); l’esistere nel modo dell’Ulisse dantesco– quello del “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”, lasciando buona traccia di sé; e, fondendo l’esistere e l’aiutare, essere portatori di speranza, Hoffnungsträger, come si definiva Alex Langer, di cui tra pochi giorni ricorre il ventennale della morte. Ma il dottor Nilo sa, però, che tutta la ricchezza e la bellezza che nascono dall’intreccio tra quell’ideale di vita e dalla sua pratica sono raggiungibili e godibili solo se si ha la capacità di resistere, forse non a caso ultima parola del romanzo.
Alex Langer, che fu grande e convincente e vero Hoffnungsträger, infatti, personalmente non resistette, e scelse di darsi la morte a quarantanove anni. Come non pochi altri portatori di speranza (penso a Cesare Pavese e a Primo Levi), esposti all’usura che il confronto col dolore impone, ma non abituati – nonostante la loro indubbia grandezza – a chiedere aiuto per se stessi.
Gli incontri autentici aggiustano costantemente, in ogni momento, i nostri destini, come bene dice il dr Nilo a pag. 51 del romanzo. Non (ci) si aggiusta, non si cambia, al di fuori di un incontro umano vero. L’incontro tra chi si prende cura di qualcuno e quel qualcuno, può funzionare solo se chi si prende cura ha la capacità personale (non tecnica!) di entrare in contatto autentico. Se non c’è questo, la tecnica non serve.
Per incrementare la competenza di sé del paziente occorre avere una buona competenza di se stessi. Il terapeuta stesso, la sua persona, è lo strumento dell’aggiustare e quindi deve essere lui stesso sufficientemente giusto, efficiente, formato, equilibrato.
Il terapeuta è l’utensile che aggiusta solo se riesce a farsi usare da chi ha bisogno di un aggiustamento, cioè di un aiuto. Deve essere capace di adattarsi a quella specifica situazione, deve disporsi in modo da lasciarsi prendere e “usare”. Ovviamente in modo attivo e consapevole, ma sempre aggiustandosi lui per primo, cioè costruendo un contesto in cui sia possibile l’emersione dei nodi che la persona porta dentro di se, attraverso l’ascolto e la ricerca comune delle ragioni di profonde del disagio. «Come potevo pensare di esserle d’aiuto, non conoscendo nulla di lei e della sua vita?» riconosce il giovanissimo dr Nilo scusandosi con la sua paziente di cui si è occupato in urgenza. Quanti curanti partono da questa semplice e ineludibile domanda, senza la quale non può esserci incontro, comprensione, cura?
Infine, ogni incontro cambia un po’ anche il terapeuta: lo accresce, lo espande di esperienza, e di umanità, nella capacità di comprendere e vedere e, se possibile, superare i limiti degli altri e suoi.
Il romanzo di Franco Colizzi è, per tutto questo, anche un romanzo di formazione dell’identità dello psicoterapeuta, costantemente in difficile, esitante ed entusiasmante costruzione. Uno stimolo per tutti coloro la cui vita si nutre della possibilità di rendersi utili, portatori di speranza capaci di portare se stessi.
Grazie tante, Franco!
E arrivederci alla prossima avventura del dr Nilo…