Franco Tommasi, Non c'è Cristo che tenga

01-11-2014

Letture, di Stefano Marullo

Non c’è che dire. Dopo L’enigma Gesù di Carocci, Gesù il ribelle di Azlan, Gesù ebreo di Galilea di Barbaglio, Gesù sei un mito del Tommasi che stiamo recensendo, finanche il Gesù ateo di Scalzo, davvero viene da dire Non c’è Cristo che tenga! Vabbè, dirà il lettore stizzito, siamo abituati alla pletora di libri su Gesù, al quale neanche il buon Flores d’Arcais ha resistito (Gesù. L’invenzione del dio cristiano). Con una aggravante non da poco: Franco Tommasi non è un “addetto ai lavori”, né uno specialista, (fa il docente universitario presso al dipartimento di Ingegneria dell’innovazione dell’Università del Salento), che sfrontatezza, ma cosa può saperne delle origini del cristianesimo, lui? E allo sprovveduto lettore dovremmo dire che il punto sta proprio qui; chi sono oggi gli “addetti ai lavori”, o gli “specialisti”? O ancora meglio: la direttrice epistemologica che solo negli ultimi 200/300 anni ha cominciato a scandagliare lì dove non si poteva, a fronte di un unanimismo quantomai sospetto riguardo al Gesù canonico, ha lasciato sul campo le sue illustri vittime: Meslier, Reimarus, Strauß, Buonaiuti, Lüdemann giusto per fare qualche nome (e fa benissimo Tommasi a ricordarne la caparbietà a fronte di censure e vere persecuzioni benedette da Santa Romana Chiesa).
Forse che non ci siano tuttora teologi che la pensano come Anrdrés Torres Queiruga, finito nel tritacarne della Commissione per la Dottrina della Fede della Conferenza Episcopale Spagnola? Indubbio, ma i più tengono famiglia, come si dice, e devono adeguarsi alla “maggioranza degli studiosi” (quasi sempre che insegnano in qualche facoltà teologica, maggioranza molto viziata ab origine) o magari ne sapremo di più alla loro dipartita, come fece il nostro Darwin (che teologo non era ma di religione si intendeva assai e le sue scoperte diedero un colpo fatale alla dogmatica cristiana) il quale molto materiale non poté pubblicare per evitare rogne. A dispetto dei malevoli inevitabili (pre)giudizi all’indirizzo di Tommasi, se cercate un libro che dispieghi una buona volta la questione del Gesù storico o della fede, insurrezionalista o maestro di sapienza, ateo o devoto, questo è il libro definitivo. Un vero manuale orientativo alla Deschner, compianto studioso di recente scomparso, quanto ad ironia ma anche a rigore ermeneutico, per quanti continuano ad essere affascinati dalle origini del cristianesimo, da sempre considerato il paradigma da cui partire per spiegare tutto quello che è seguito; così la mitizzazione operata ad un tempo dalla teologia della liberazione e dal movimento pentecostale, seppur su versanti completamente opposti, per stare in ambito confessionale. Ma, come ricorda Tommasi, non mancano anche gli apologeti in campo laico e miscredente.
La questione focale è proprio la frattura tra le scarni notizie su un Gesù, ebreo di Galilea con aspirazioni messianiche, uno dei tanti di cui ci parla Giuseppe Flavio (che però di questo Nazareno non parla affatto), e la incredibile ricchezza di particolari attorno alla vita (e morte e risurrezione) del medesimo Gesù che però aumentano con il passare degli anni (o dei decenni). Una storia all’incontrario verrebbe da dire. Il problema è arcinoto: di questo Gesù dei vangeli si dimenticano Filone di Alessandria (20 a.C.-50 d.C.) filosofo ebraico che scrive enciclopedie sul suo tempo, o Seneca (4 a.C.-65 d.C) altro filosofo che del culto degli ebrei parla diffusamente, Plinio in Vecchio (23 d.C.-79 d.C.) che visita la Palestina e scrive sugli Esseni, Plutarco (45 d.C.-127 d.C.) studioso di religione che si occupa delle divinità che muoiono e risorgono come Iside e Osiride, od ancora quel Giusto di Tiberiade (seconda metà del I secolo) storico vissuto nel tempo e nei luoghi citati dai vangeli e davvero si potrebbe continuare. E dire che molti di loro, e il già citato Giuseppe Flavio, non esitano a soffermarsi su personaggi marginali. Di contro, le fonti più antiche, anche se partigiane, (fonte Q, Vangelo di Tomaso, Paolo di Tarso) nulla dicono del Gesù biografico. Già Nietzsche, con geniale intuizione, ha sostenuto che bisogna separare Gesù dal cristianesimo, che il vangelo sia “morto in croce”, e che il vangelo medesimo non sia altro che il colossale travisamento dell’opera di Gesù. Senza parlare, riguardo ai vangeli, degli imbarazzanti errori, delle insolubili contraddizioni e delle plateali interpolazioni ivi contenute (il Diatessaron, opera di Taziano il Tiro, che voleva comporre la difficoltà della concordia discors dei quattro vangeli si rivelò un rimedio peggiore del male), la cui carrellata è piuttosto lunga.
Tra le perle vengono ricordate le citazioni sbagliate di Gesù che scambia Malachia con Isaia, la madre di Gesù che vuole con altri parenti riportarlo a casa perché lo crede folle (dimenticandosi dell’arcangelo Gabriele), gli errori geografici di qualche evangelista sulla collocazione di Sidone e finanche sui precipizi di Nazareth dai quali i compaesani volevano buttare Gesù (purtroppo Nazareth non è collocata su alcuna altura), i lunghi discorsi di Gesù che nessuno poteva sentire (nel deserto con il diavolo, sul Getsemani mentre tutti dormivano, sulla croce assenti i suoi discepoli fuggiti), l’invenzione del primato di Pietro (che negli Atti è subordinato a Giacomo, fratello di Gesù, secondo la carne, colpo fatale alla verginità perpetua della Madonna), la cosiddetta “finale lunga” di Marco, aggiunta posteriore per ovviare alla carenza di apparizioni del Risorto nel vangelo più antico e così via. La tesi che il libro accarezza, molto plausibile, è che il cristianesimo sia un’invenzione paolina che con la scomparsa di Giacomo e della chiesa di Gerusalemme (legittimi eredi del presunto Gesù storico) ha avuto man forte nel diffondere il suo vangelo (avuto per rivelazione privata secondo le stesse parole dell’apostolo) che era ben gradito dai Romani rispetto a quello nazionalistico dei giudei-cristiani e i vangeli scritti dopo rispondono a questo disegno di criminalizzazione degli ebrei (nei vari scribi-farisei, parenti e concittadini di Gesù etc.) e di assoluzione dei Romani. Non sarà un caso che il primo vangelo (Marco) è scritto a Roma, dopo gli avvenimenti tragici della rivolta giudaica finita in un bagno di sangue, di cui, curiosamente, tutti i vangeli scritti dopo il 66 d.C. (che pure parlano di storielle inventate di sana pianta come la Strage degli innocenti) omettono a piè pari. In quest’ottica fa bene Tommasi a riabilitare un autore, tanto bistrattato quanto frainteso, come Brandon che in Gesù e nei suoi discepoli vede inequivocabilmente un fronte anti-romano.
Intendiamoci: questo libro non sarà il “canto del gallo” sull’affaire Gesù. Entra però di diritto, tra quelli di autori non embedded, scritti in lingua italiana, meritevoli di menzione negli ultimi anni (come Cristo. Una vicenda storica da riscoprire di David Donnini, e pochi altri) che per scellerata scelta dell’editoria italiana faticano a emergere, di fronte alla canea del mainstream. Nondimeno, sale un po’ di sangue alla testa al pensiero che un libro di mediocre spessore storiografico come “Gesù di Nazareth” del papa emerito continui a campeggiare sugli scaffali delle librerie mentre in tanti neanche leggeranno una riga di Non c’è Cristo che tenga, né vedremo con molta probabilità Franco Tommasi ospite di qualche trasmissione televisiva dedicata alle origini del cristianesimo. Motivo in più per proporlo ai nostri lettori e motivo in più perché quest’ultimi si prodighino nel diffonderne la lettura. Libro piacevole quanto utile insomma.