Gabriele Ghiandoni, La scrittura va sola per il mondo

01-11-2006

Per chi con la scrittura già bisticcia, di Paolo Lezziero

Gabriele Ghiandoni ha l’età (non solo anagrafica, absit iniuria…), l’esperienza di autore, di matematico (coi numeri che hanno valenze vitali) di poeta e di scrittore per stendere questa raccolta di saggi sulla scrittura che “va sola per il mondo”, invano inseguita da chi cerca di usarla “pro domo sua”.
Il volume è quindi un trattato, tra il serioso e l’ironico, che consiglierei ai giovani scrittori o che si presumono tali, diviso in sedici aspetti essenziali del problema, ma senza fare astratta teoria parolaia (come scrive Fabio Pusterla nell’introduzione). Ghiandoni ci entra (nel problema) si sporca le mani, per averci a lungo convissuto e riporta le ammaccature, gli aspetti felici, i percorsi che anche grandi autori hanno affrontato per catturare una loro scrittura che li rappresenti, ma che non è mai definitiva.
Le memorie fissate su queste pagine vengono fuori con disordine-ordine da un personale “romanzo di formazione” che gli ha fatto produrre buoni e ottimi testi, e lo hanno portato a un bilancio che li riordina nella genesi e nella successiva formazione.
L’incipit presenta subito, con giusta ed efficace ma seria ironia, il problema.
«Alcune considerazioni sulla figura dello scrittore: i cinque sensi sono sufficienti per narrare il capanno delle angurie rosse mature?». E poi:
«La scrittura e la lettura».
«La voliera degli uccelli fantastici, impagliati e di ornamento».
«La scrittura dello scrittore nel tempo».
«L’insegnamento di Gustave Flaubert».
«La passeggiata per incontrare Tony nei campi di Fontevilla».
È un mestiere la scrittura? «I mestieri si modificano nel tempo; diventano leggeri, pesanti, scompaiono», risponde l’autore. «Nell’antichità scrivere non era un mestiere né un’arte. L’homme de lettre è colui che non fa nessun lavoro di preciso. I letterati di mestiere si rivolgevano a un patronus, per loro scrivere è un’attività servile…». E citando E. Jabès: «Ognuno scrive per l’altro che è sempre se stesso».
Nel IV capitoletto, Le quattro stagioni della grande città, c’è la «Descrizione delle 4 stagioni e dei 12 mesi dentro l’anno. Montale a Milano. Ancora Milano». «Ho amato tutte le stagioni; perché in ognuna ho amato i diversi colori durante i 12 mesi dell’anno», annota Ghiandoni. «La Primavera per l’azzurro, il verde e il sole che scioglie la neve… L’Inverno bianco che arriva dalla gola del Furlo sotto gli Appennini… L’Estate rossa al mare di Sassonia (spiaggia di Fano, la sua città)… L’Autunno che varia nel tempo i suoi colori…».
«Ogni mese ha un suo colore dentro le stagioni».
«Le stagioni nella grande città, Milano; passeggiare per Viale Bligny e parco Ravizza; via Bigli sagomata a esse, dove in inverno Montale cammina con i suoi passetti svelti, canticchiando alcuni pezzi da appassionato melomane. Ho abitato in via Festa del Perdono, dove la strada si allarga sino alla Ca’ Granda…».
E sulla nascita e la scrittura di un romanzo ci sono le indicazioni del capitolo X, «La trama-maschera», con le «Regole per scrivere un romanzo», il «Tentativo di classificazione» e «Ancora esercizi di scrittura».
«Scrivere un romanzo è un mestiere che richiede regole precise; non è pensabile che si possa comporre della musica senza conoscere a fondo l’armonia… per un romanzo è necessario conoscere a fondo la tecnica (come costruire i personaggi, come farli entrare e uscire dalla scena), per poi decidere magari di stravolgerla (ad esempio: Joyce e Ulisse)». Seguono gli esempi di alcuni tipi di romanzo: il Feuilleton, il Romanzo d’intreccio, il Romanzo di formazione, con i diversi tempi di scrittura.
E continuando a pescare nel libro abbiamo a p. 77 l’esempio del Romanzo a quattro mani, con la storia dell’impiegato Leonardo, a Milano, la sua piccola sociologia fatta di dialoghi con la moglie, con gli amici, con il diario di una settimana di lavoro, di pause dal lavoro, la vita in famiglia, la prima televisione. Viene inoltre citata, più avanti, la tecnica di scrittura di Antonio Pizzuto, la tecnica del frammento di Thomas Wolfe che nasce dai suoi viaggi, con pellegrinaggi a Parigi, New York e in altre parti del mondo… «altri giovani scrittori americani sono stati in Spagna in Italia a Majorca, per cercare il paese dove lavorare; e accorgersi che il luogo dello scrivere è ovunque». È importante il viaggio? Per Bruno Barilli e Chatwin sì, no per Xavier De Maistre, assorto a girare solitario per 42 giorni nella sua stanza…
Il percorso di tutto il volume è una serie di leggere ma mai superficiali annotazioni, rilevazioni, antiche esperienze riviste con gli occhi di oggi, senza la presunzione di insegnare nulla a nessuno, ma con il vezzo di dire ad altri, giovani o tosti scrittori e poeti in età, guarda che io ci sono passato prima, per caso o per voglia. Se vuoi tienine conto…
Una volta definito il tema da affrontare, “l’argomento”, ampi e ben articolati sono i conseguenti “esercizi di scrittura” che non sono banali appunti, ma che da soli formano un tessuto di racconti veri, di descrizioni nate da spunti, da incontri con personaggi o paesaggi (splendido il pezzo della passeggiata dal Frantoio alle Terme…): «il casotto di Tony è rozzo, anche se ha due porte costruite con molta grazia. Una delle due è la porta-finestra da dove fa entrare e uscire la frutta del campo che occupa la collina di Fontevilla dall’alto si vede il mare che si allunga oltre l’orizzonte, le vele delle barche… Sulla spiaggia del Lido corrono gli aquiloni costruiti con abilità da noi ragazzi…».
Un cammino personale messo sulla carta e non gelosamente custodito nei cassetti, aperto invece al confronto e al dibattito. Che potrebbe essere un’idea: a un festival o sulla spiaggia di Fano, davanti a giovani che con la scrittura stanno già bisticciando e inciampando.