Giacomo di Witzell, Come dentro la notte

01-03-2007
Un'operina d’inchiostro, di Fabia Binci

Pomeriggio memorabile a Villa Mina il 2 febbraio: ospiti Francesco Macciò e Fernando Bauducco che con parole e immagini hanno presentato il romanzo di Giacomo di Witzell, Come dentro la notte, ed. Manni, un’opera che ha già ricevuto autorevoli consensi da critici e poeti come Giorgio Barberi Squarotti, Lucetta Frisa, Giuseppe Conte e Roberto Bertoni. Francesco Macciò, critico letterario, scrittore e poeta di Torriglia, che vive a Genova dove insegna in un liceo, è un caro amico dell’Unitre: ricordiamo il convegno del 1995 sul poeta Giorgio Caproni, e la presentazione a Villa Figoli della sua opera poetica Sotto notti altissime di stelle (prefaz. di Luigi Surdich): versi pieni di luce, di grande apertura cosmica, densi di richiami evocativi, sospesi tra mare e monti e notti e cieli carichi di stelle, spesso ambientati in luoghi di frontiera, come il Carso, con le splendide figure femminili di Mira e Zelda, o nella Genova di caproniana suggestione e in val Trebbia.
Grande poesia, dicevamo allora, irrequieta e ansiosa di verità, scevra da sentimentalismi, nati dalla “scienza incerta del cuore”, come dice Macciò in un bellissimo verso. Lo stesso asciutto romanticismo permea e innerva la magnifica architettura di Come dentro la notte. Lo scrittore immagina di essere soltanto il curatore del romanzo, il cui testo di base sarebbe stato recapitato ad un misterioso conte, in busta chiusa su fogli formato A 4 accompagnati da un floppy disk, presso un bar di Trieste. Giacomo di Witzell, l’autore, avrebbe scelto di affidare al Conte l’unica copia della sua “operina d’inchiostro”, prima di mettersi in viaggio per un luogo non precisato. E il Conte si sarebbe affidato a Macciò perché ne curasse la stesura definitiva. È un espediente classico fingere di non essere l’autore di un’opera propria, già usato da Manzoni, Stevenson, Borges e tanti altri scrittori. Permette di mantenere un tono distaccato e avvolgere di autenticitài fatti narrati imperniati sul tema del viaggio come metafora di un percorso esistenziale, vissuto con intensità e giocato con ironia e sapienza di cuore. Si narra di una passeggiata notturna,che si snoda in un percorso circolare nel cuore di Trieste, città di frontiera carica di storia e suggestioni letterarie, dal fascino sospeso tra passato e presente. E mentre si cammina “ le gambe vanno da una parte, la mente da un’altra. Si creano sovrapposizioni, scorrimenti su piani diversi, pensieri doppi. Quando qualcosa che vediamo ci cattura, invade gli spazi interni, entra nei nostri pensieri e li trasforma”. Il protagonista incontra gli abitanti della notte, tanto amati da Saba, baristi, prostitute, tassisti, singolari figure di donne e di giocatori di scopone scientifico, i cui gesti acquistano un valore metafisico. E alle riflessioni e ai dialoghi si intrecciano i ricordi dell’amore per una ragazza slovena, ma anche la memoria dell’orrore delle foibe, d’intenso impatto emotivo, privo di ogni retorica. La suggestiva lettura dei brani che Macciò ci ha offerto è stata accompagnata dalla proiezione delle splendide immagini di Fernando Bauducco, che si dedica con passione e sensibilità straordinaria alla fotografia: poesia aggiunta a poesia, in sintonia perfetta, in un’atmosfera intrisa di fascino commozione. Una bellissima esperienza. Da ripetere.