Giacomo Leopardi nello zoo saggio, di Sergio D’Amaro
L’interesse per Leopardi «zoosofo», estensore di una sorta di filosofia degli animali o di controfilosofia, ha date ancora recenti nella sterminata bibliografia che lo riguarda. Il materialismo pessimistico che pervade la mente di Leopardi sull’essenza della vita e sul destino degli uomini, si accende di un sorriso e si nutre di un’alternativa quando la sua penna tenace verga già i primissimi esperimenti poetici a poco più di dieci anni, così come l’ultima desolata satira dei maturi Paralipomeni. E sono più frequentemente gli uccelli che accendono la sensibilità di Giacomo, la riscaldano dell’illusione suprema che la fantasia poetica sia in effetti la più prossima al volo e al canto.
Per riassumere utilmente questa sorta di «zoosofia» di Leopardi soccorrono ora le sei sezioni dell’antologia Il gallo silvestre e altri animali, a cura di Antonio Prete e Alessandra Aloisi, impreziosito da numerose illustrazioni di Mario Persico e da due disegni del Recanatese. Il libro è ordinato in modo da toccare tutte le questioni riguardanti il tema, passando dall’illustrazione dell’universo animale alla trasfigurazione parodistica e satirica del mondo umano, messo a nudo da una visione «animalesca» delle sue spiccate anche se tutt’altro che nobili qualità.
Nell’adolescenza L’uccello Leopardi vagheggia la libertà dell’ala che lascia la «dipinta gabbia» e s’inoltra nel mistero del cielo. È l’intuizione primitiva che assegna anche agli animali una sensibilità e una ragione istintiva, così come conferma la poco più tarda Dissertazione sopra l’anima delle bestie. L’uomo ha solo veramente il linguaggio che lo fa tale e attraverso la fantasia lo conduce alla poesia, a quello sguardo superiore che lo libera dall’ossessione della finitudine. L’Elogio degli uccelli ha uno slancio straordinario ed è la stessa emozione che scopre negli animali una «società larga» opposta alla «società stretta» degli umani costretti all’esperienza del potere, della guerra e del tempo.
Malgrado tutto, anche gli animali partecipano alla sofferenza universale. Alla data del 22 aprile 1826 si legge nello Zibaldone: «Non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e sarà sempre infelice di necessità. Non il genere umano solamente ma tutti gli animali. Non gli animali soltanto ma tutti gli altri esseri a loro modo. Non gli individui, ma le specie, i generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi». Dalla visione zoocentrica all’«antropocritica», alla pietà che supera l’intensa suggestione del naufragio nell’infinito. Nel giardino scambiato per Eden Leopardi scopre non l’illusione ma la coscienza chiara e perentoria dell’illusione, mentre la poesia diventata canto allieta di ritmi e di vaghezze tutti i suoi ulteriori voli sulla condizione umana.