Giacomo Scotti, Dossier foibe

15-09-2005

Nuovi contributi sui dolorosi fatti


Foibe, tema tutt’altro che vicino all’esaurimento, non solo per la complessità storica quanto anche per la profondità che questa ferita ha lasciato nel corpo delle genti istriane e per larghissima prevalenza in quelle di nazionalità italiana. Il tema è stato ripreso stavolta da uno scrittore “di qua”, ovvero quel Giacomo Scotti che, oltre ad essere nome ben noto nel campo della letteratura della minoranza italiana, ha all’attivo ormai da non pochi anni diverse ricerche sulle vicende che, se in linea diretta hanno coinvolto innanzitutto i connazionali, in termini più mediati hanno avuto riflessi molto più ampi, di cui si parlerà ancora a lungo in quanto ben lungi dall’essere arrivati all’esaurimento. Il volume di Scotti, dall’asciutto titolo Dossier foibe, pubblicato nella collana Studi dell’editore Manni (pp. 205, 16,00 euro) si avvale della prefazione di Enzo Collotti, docente di storia contemporanea all’Università di Firenze che, detto per inciso conosce molto bene le nostre terre anche in quanto già docente all’ateneo triestino.
Parlare delle foibe, afferma l’anziano ricercatore, significa inevitabilmente chiamare in causa il complesso di situazioni venute ad accumularsi nell’arco di un ventennio con l’esasperazione di violenza e di lacerazioni politiche, militari, sociali, concentratesi in particolare nella seconda guerra mondiale quando questa arrivò alla sua fase più acuta. Da una parte dunque ci troviamo di fronte alla storia, con i misfatti susseguitisi nei vent’anni di fascismo nella penisola istriana, le azioni delle truppe italiane nella seconda guerra mondiale, l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la successiva violenta insurrezione popolare quale preludio alla “caccia al fascista” con infoibamenti di militanti mussoliniani e di innocenti, soprattutto italiani, ma anche slavi; poi, entro termini brevissimi, si susseguono l’occupazione tedesca e le vendette dei repubblichini. Le conseguenze furono impressionanti, ossia nell’arco di tempo di due sole settimane si verificò il massacro di cinquemila civili istriani. Una serie di azioni nefande perpetrate ad opera di nazisti e fascisti, “che finora nessuno ha incriminato per questo”.
Dall’altra parte si pongono l’attualità e un dibattito storico che continua senza sosta a dividere sia gli esperti che i sopravvissuti; le opinioni che si confrontano e si contrappongono sulla stampa e sugli altri media, sono lungi dall’offrire un contributo valido ai fini del conflitto che si trascina da parecchi decenni. Una narrazione della storia che, nell’assoluta oggettività documentaria, rispetta tutte le vittime ma non “condivide”, non “omologa”.
L’intento dell’autore è di fornire nuovi documenti “per interpretare” gli eventi istriani, cercando innanzitutto di fare chiarezza tanto sui numeri (nel giro di una quindicina d’anni siamo passati dalle 570 salme di infoibati, accertati dallo storico Galliano Fogar, alle ventimila dei giorni nostri senza che questa tesi sia supportata da alcun un elenco di salme rinvenute) che sui fatti, cercando di liberare questa sanguinosa vicenda dalla retorica di un revisionismo fin troppo semplicistico e distorto che di fatto persegue in maniera anche piuttosto palese i fini dell’opportunismo politico, adoperandosi invece a inquadrarla nelle vicende storiche che hanno preceduto e accompagnato la presenza del fascismo in tutta la Venezia Giulia e dunque anche in Istria (l’autore ha comunque ritenuto opportuno escludere i fatti di Trieste e Gorizia).
“Storia nota e arcinota” ribadisce ancora Collotti nella prefazione, ma che negli ultimi tempi è stata per certi aspetti oggetto di una profonda rimozione. La maggioranza dell’opinione pubblica italiana, prosegue, conosce ben poco, per non dire nulla delle caratteristiche di quella politica di sopraffazione praticata sistematicamente e con determinazione dal fascismo nei confronti della minoranza slovena e croata, della snazionalizzazione a tappeto, che proibiva l’uso della propria lingua, la chiusura delle scuole e l’asservimento delle amministrazioni locali, il boicottaggio nell’esercizio del culto, l’imposizione di toponimi e cognomi italianizzati, quali strumenti di progetto di distruzione dell’identità nazionale e culturale delle minoranze e della distruzione della loro memoria storica?”. Nulla, verosimilmente è la risposta. Scotti cerca di restituire la memoria a chi non sa ma anche a chi sa e, se non altro per onorare i propri morti, dovrebbe ricordare. Evitando quella che Collotti definisce “l’incidente e impudica par condicio della storia” fra tragedie incomparabili: la shoah e le foibe. È ancora Collotti, infatti, a rimproverare ai politici della sinistra “l’incapacità di rileggere la propria storia, ammettendo la responsabilità ed errori compiuti, senza per questo confondersi di fatto con le ragioni degli avversari e degli accusatori di comodo, candendo in un facile ed ambiguo pentismo”.