Cosimo e l’insostenibile pesantezza dell’amore, di Fabrizio Ottaviani
È geometrica, frenetica e, a dispetto del tema - le cospicue virtù amatorie del suo protagonista, il bassissimo Cosimo - estremamente dry la Breve vita di un piccolo notabile del sesso (Manni, pagg. 176, euro 14) di Giancarlo Orsenigo. Chiunque abbia letto e amato i due precedenti romanzi dello stesso autore, Via degli inganni e Spleen, entrambi editi da Voland, noterà che nell'opera recente la circospezione saturnina che opprimeva i personaggi si è ormai dispersa, lasciando il posto ad una gaiezza alessandrina e settecentesca. La geometria non è presente solo in senso figurato: la statura morale ed umana di Cosimo passa in secondo piano rispetto alle sue dimensioni terra-terra, quelle misurabili con un banale metro da sarto.
Per cominciare ha infatti l'altezza di un nano, ma a differenza dei nani anche proporzioni conformi alla media; inoltre, in barba all'infima statura, possiede una forza erculea che gli permette di vendicarsi di tutti coloro che hanno la sventura di prenderlo per i fondelli. Piccolo senza pagarne le conseguenze, non ha complessi di inferiorità: la sorte lo ha largamente risarcito regalandogli a piene mani la proverbiale virtù meno apparente. Un eloquio da ultimatum in grado di zittire la più logorroica delle zitelle fa il resto: insomma, è quasi normale.
Narrata nella lingua ricca ed esatta cui Orsenigo ci ha abituato, la storia si snoda lungo una serie di fulminanti peripezie che compongono una sorta di acido, stralunato, felliniano carnevale. L'epoca in cui si svolgono i fatti è ambigua, visto che in essa convivono la placenta antirughe e il teatro di varietà.
Il primo ad accorgersi con stupore delle doti del bambino è il ginecologo in sala parto, infastidito dal «secondo cordone ombelicale che penzolava fra le gambe; stava per tagliarlo, ma per fortuna si fermò». L'infanzia di Cosimo trascorre tra l'ammirazione delle donne, che già intuiscono la sua nascosta ricchezza, e l'invidia degli altri bambini, prontissimi a deriderne l'altezza ma anche a scoppiare in lacrime se capita di far pipì tutti assieme.
Con le prime precocissime avventure erotiche, pronubo il compagno di banco figlio di una giovane e compiacente vedova, giungono anche i contrasti con la famiglia. Il ragazzo fugge a Parigi, si cala nei suoi bassifondi, vi entra in contatto con una malavita da film in bianco e nero spingendosi fino alla rapina. Tornato in Italia per sottrarsi alla gendarmerie, si fa assumere in un circo e poi nel Grand Hotel, dove vestito della livrea del «lift» scarrozza le clienti su e giù con l'ascensore. Soprattutto le opulente. Già, perché Cosimo perde la testa solo per le grasse, grassissime, possibilmente oltre il quintale e mezzo. Ciò che tende la calzamaglia della divisa basta e avanza per trasformare la sua attività in un doppio lavoro: nell'ascensore di giorno, nel letto delle floride annoiate di notte.
Il destino di un personaggio tanto spiazzante non può che precipitare in modo altrettanto bizzarro. Le stranezze degradano in lacerti filosofici mostruosi, in anomalie non più fisiche ma metafisiche. Cosimo si identifica con il suo tratto più notevole, rivendica il suo aspetto incompiuto e «fetale», risolve la scissione tra genotipo e fenotipo e infine si suicida nel vortice neotenico e aorgico che egli stesso ha contribuito a spalancare. Morirà tuffandosi nella carne tenera dell'ultima e più vasta delle sue amanti.