Giancarlo Sissa, Il bambino perfetto

27-05-2008

Quiete e tumulto dei ricordi, di Brunella Torresin

Il bambino perfetto di Giancarlo Sissa ha una sua natura profondamente poetica, e solo graficamente. Cioè nell’aspetto esteriore, le sue strofe dei versi liberi sono composte in periodi di prosa. «Io lo direi una scrittura d’intensità, che sta dalle parti del poema in prosa», suggerisce l’autore. Non per caso Giancarlo Sissa, che è nato a Mantova nel 1961, e vive a Bologna, è francesista e traduttore di Nerval, Lautrémont, Théophile Gautier e Alfred De Vigny, oltreché poeta e narratore. È anche «diarista» per il Teatro delle Ariette, il teatro creato da Stefano Pasquini e Paola Berselli a Castello di Serravalle. Il Teatro delle Ariette ha chiesto a Giancarlo Sissa d’essere testimone di «tutto quel che accadeva durante gli spettacoli», il che significa che «io mi sedevo tra il pubblico e prendevo nota di tutto ciò che vedevo», racconta. Alla fine, da diarista è diventato anche attore, ha varcato la circonferenza che rende estranei i lettori della pagina scritta e ha trasformato la sua poesia, e i lettori in suoi simili.
Anche Il bambino perfetto, che segue a Laureola (1997), a Prima della tac e altre poesie (1998), a Il mestiere dell’educatore (2002) e a Manuale d’insonnia (2004), attinge all’autobiografia, orchestrando una polifonia di voci distribuite in sei movimenti. È una sinfonia sincopata di ricordi e la memoria di una generazione, e «come generazione ci hanno insegnato a detestarci»; è il registro dei sogni immensi sulle spalle e dei fallimenti, e la confessione di un’infinita stanchezza: «i personaggi hanno già detto».
Inizia con un movimento piano, come un adagio, quasi discorsivo, che s’intitola Corrispondenze, e forse sono davvero brani di un dialogo del quale a noi giunge solo una voce, oppure sono da intendere nel senso in cui Baudelaire le descrisse. Nei movimenti che seguono, l’intensità inizia a premere sempre di più sulle parole che diventano un tumulto, e lutto. «Sono lupi oggi le parole, sfregano il muso nella neve». E il tempo, «Gli anni sono una lunga lingua d’esilio, la misura del tempo che resta, il congegno velenoso della pratica inevasa, l’incomprensibile umano reciproco aizzarsi…». Poi ritorna una parvenza di quiete e «neve», «sogno», «sonno», le parole chiave del Bambino perfetto, ora ricompongono la condizione necessaria per rispondere alla domanda: chi sono diventato? Caduto nel ventre della poesia, il passo inceppato, attraversati i peccati di paura e i disastri del corpo, «Sono colui che cammina su se stesso», risponde, sono «l’infanzia stretta per mano», sono il futuro evocato nel tuo quaderno di bambino, che oggi si compie.