Giancarlo Tramutoli, Uno che conta

06-06-2007

Difficile e illusorio diventare "uno che conta", di Rossano Astremo

Un romanzo che si apre con una corda che penzola da un soffitto e si chiude alla stessa maniera. All’interno di questo percorso circolare si svolgono le vicende che strutturano Uno che conta, il secondo romanzo dello scrittore potentino Giancarlo Tramutoli, edito di recente da Manni. Tramutoli è soprattutto uno scrittore di aforismi e brevi poesie, all’interno delle quali l’ironia spadroneggia incontrastata. Un’ironia, quella di Tramutoli, che fa rima con malinconia, la stessa che scandisce le giornate del protagonista di Uno che conta, un cassiere di banca con la smodata passione per la scrittura, il quale, dopo un numero di rifiuti editoriali esorbitante, ottiene una telefonata inaspettata, in un momento a dir poco provvidenziale: la Mondadori ha deciso di pubblicare il suo “Storie da camera”.
Finalmente il destino del quarantenne scrittore subisce uno scossone dirompente tale da fargli prefigurare rivoluzionari mutamenti nella sua grigia quotidianità.
Dopo la pubblicazione del romanzo, cominciano le interviste, le recensioni, addirittura una collaborazione con il “Corriere della Sera”, presto conclusasi, che sarà alla base di una personale querelle con la poetessa Patrizia Valduga, alla quale scrive una lettera in cui si evidenzia il suo atteggiamento intransigente nei confronti di tutto il mondo delle lettere: “I poeti anemici dell’Einaudi sono così algidi e tristi e inermi che fanno poesia da obitorio. Oppure le grandi e intoccabili mummie come Zanzotto (glaciale), Luzi (che ha osato scrivere un elogio del Tricolore), la Spaziani (che si ciba da sempre di pane & Montale) o i tromboni come Conte o Carifi e potrei andare avanti per giorni, visto che in quest’ultimi vent’anni ne ho lette di cagate e masochisticamente ne leggerò perché a me piace sputare su cose che conosco”.
Ecco in sintesi un ritratto dell’autore di “Storie da camera”, la cui misantropia è accentuata anche dal fatto che il suo libro è entrato nella classica dei più venduti. Si sente, oramai, “uno che conta”, ha raggiunto, finalmente, lo status di scrittore rispettabile. Anche nella sua città lo riconoscono come tale. La parabola, però, si fa presto discendente. Sarà soprattutto l’amore per una splendida ragazza, Valeria, mai ricambiato, a far piombare lo scrittore in uno sconforto assoluto. A ciò si aggiunge il successo del libro, rivelatosi effimero, fugace: “Dopo un momento di gloria – adesso che è finito mi sembra solo un momento – il mio romanzo è sparito dalla classifica. E anche quello era solo un bluff. Il solito Camilleri aveva schiacciato le percentuali, per cui quel decimo posto (la mia gioia, la delizia che mi aiutava a vivere), significa che ho venduto un migliaio di copie appena”. Dopo la gloria, il crollo. Nonostante l’amara ironia che serpeggia tra le pagine, l’epilogo della storia non lascia spazio a speranze. Il sipario sulla storia cala sulle note di uno struggente Bach.