La bella estate degli scrittori di Potenza, di Paride Leporace
Un anno indimenticabile per Potenza il 2007. Non solo per l’inverno tra i meno rigidi dell’ultimo mezzo secolo. E per le due storiche e coincidenti promozioni delle squadre cittadine di calcio e basket. Il 2007 era stato anche il momento di Vallettopoli. Tutto l’apparire della fogna televisiva indagato nel Palazzo di Giustizia meno frequentato d’Italia. Il pm biondo che fa impazzire il mondo, unico giustiziere a ricevere santificazioni di magliette, proposte di testimonial per festival cinematografici, peana e insulti dall’arengo nazionale, faceva sfilare tronisti, vippaglia, coscione e paraninfi di regime per ambientare la soap opera giudiziaria chiamata Vallettopoli. Le redazioni che già avevano conosciuto la strada lucana a causa di Vittorio Emanuele erano chiamate ad una nuova grande copertura giornalistica.
Tg, grandi giornali e sistemi multimediali in primavera si apprestavano alla campagna di Potenza. In quei giorni Gaetano Cappelli e Giancarlo Tramutoli dovevano affrontare la vicenda con il loro solito distacco snobistico. Forse divertiti di vedere “Putenz” in televisione, distanti dal provincialismo della società dello spettacolo. Forse addirittura contrari all’attivismo del pm che i writers riprodurranno in effigie sulle mura della città.
Gaetano e Giancarlo nelle loro passeggiate notturne su via Pretoria, che tanto ricordano il Moraldo e il Leopoldo dei Vitelloni, non sapevano che si preparava per loro una grande estate. Non è che fossero degli sconosciuti. Raffaele Nigro, affermato scrittore della vecchia guardia locale, in un suo libro strenna aveva scritto “Potenza di questi anni è ciò che appare dalla narrativa di Gaetano Cappelli, una città che si è lasciata alle spalle la cultura del vicolo e della campagna, una città del terziario nella quale l’università si sta insediando con i tempi e le difficoltà che comportano queste nascite”. Cappelli non era un nessuno. Scrittore per Marsilio piazzatosi nel 2005 nella cinquina del Bookcrossing.
Anche Giancarlo era già uno che conta. Bancario con doppia vita da scrittore e poeta, corsivista del Corsera, frequentazioni illustri ottenute con corrispondenza. Un cammino iniziato nelle magiche notti di Castelporziano di nicoliliana memoria. E lui che passa la dritta ad Antonio D’Orrico su Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo. Mai mossa fu più fortunata. Perché D’Orrico, re Mida della critica letteraria italiana, con le sue scelte eretiche s’innamora del romanzo e inviato dalla leggerissima direttrice del Magazine, Maria Luisa Agnese, fa di Cappelli il suo Virgilio nella Potenza woodcockiana.
Poi la spara a modo suo. Cappelli è il Roth italiano. Nasce il tormentone di successo. Le recensioni del libro sono copiose ed esaltate. D’Orrico che è uno che insiste ieri è tornato a scrivere della città che prima veniva confusa con Cosenza. Nella santificazione del Meridionale Chic, complice l’ultima sfilata di Armani, cesella su Cappelli “maestro dello stile e testimonial dell’uomo del Sud”. Funziona il fatto che Cappelli racconti un Sud cambiato e non più perdente, ma divertente e divertito. D’Orrico che è un passionale eccessivo aggiunge anche la recensione della settimana per parlare benissimo dell’ultimo romanzo di Tramutoli dove troviamo sempre Cappelli come personaggio del romanzo del caro amichetto. È proprio la loro estate. Tra l’altro d’estate è ambientato il fortunato successo letterario di Cappelli. E Tramutoli nel suo Uno che conta chiosa beffardo sulle domande scontate dei clienti in banca sulle sue vacanze, mentre lo scrittore che usa il suo contesto per farlo diventare testo confessa sedentario che lui ama bere vino davanti alla tv che “manda in onda le file ai caselli autostradali delle grandi partenze e dei grandi rientri, gli ingorghi, i cani abbandonati, le trombe marine, i temporali estivi e le spiagge affollate”.
Confesso di essere un fan dei due scrittori potentini. Ho avuto la fortuna abitando a Potenza e l’ambientazione di lettura ha il suo peso su alcuni riconoscimenti esistenziali. Sono romanzi che divertono. Ben scritti. Che si leggono d’un fiato. La vicenda di Riccardo Fusco ha il merito di demolire stereotipi culturali e di vita che attanagliano la Basilicata. Cappelli è un colto dandy che non avrebbe sfigurato alla celebre festa di Truman Capote per il suo compleanno. Tramutoli è
tagliente come una lama di rasoio. Diretto nello scrivere e autoreferenziale. Funambolico con le parole. Un temporale d’estate diventa nelle sue pagine una prova di suspence come pochi oggi sanno affrontare. I due amici offrono pagine di sesso sincero. Si vede che hanno letto Bukowski e sognato sulla Basentana di attraversare la strada di Sal Paradise. I due per rette parallele nei loro romanzi demoliscono miti e mitologie.
La loro regione sembra non accorgersi di aver trovato due importanti figure di riferimento. Altrove sarebbero stati santificati in modo più opportuno.
La lentezza basilisca sembra distratta. L’intellettualità locale non si sbraccia forse invidiosa del successo, forse perché disperatamente ancorata ad una cultura contadina che non esiste più da tempo. Probabilmente in tanti non riescono ad elaborare il funerale di una gabbia mentale che vuole il lucano povero, piccolo e maledetto. Cappelli e Tramutoli non credo si preoccupino molto di questo disinteresse localistico. Il loro snobismo da commedia di vino non lo consente. Tra aforismi, battute, letture e bevute si godono la loro estate sotto i riflettori nazionali. La storia controversa dell’inarrestabile fortuna di Cappelli e Tramutoli in Italia spero che continui a lungo. Lo meritano loro, Potenza e la Basilicata. E caso mai dovessimo scoprire nel decennale di questo particolare anno potentino che hanno ballato una sola estate, sarà valsa incredibilmente la pena saper irridere con letteratura di buona fattura e confezione l’insostenibile leggerezza dell’apparire.