Giancarlo Tramutoli, Uno che conta

21-07-2007

21/07/2007 - Gazzetta del Mezzogiorno - Potenza
Quei giochi linguistici di Giancarlo Tramutoli, di Lorenza Colcigno

Se sommassimo il titolo Uno che conta anche con un solo dei giochi linguistici che costituiscono il tessuto connettivo dell’ultimo romanzo di Giancarlo Tramutoli, scegliendo ad esempio la relazione tra «parola e «pietra» o quella da già alunno del Liceo classico tra «ad majora» e «maggiorata»», riusciremmo mai a fare «due più due quattro»? Insomma leggendo l’ultimo romanzo di Giancarlo Tramutoli, uno che conta davvero per l’indiscussa abilità di giocare con la lingua (e l’autore recensito ci perdonerà se gareggiamo con lui in facezie linguistiche), si ha la conferma che quello che intriga di più dei suoi lavori è la sfida che lancia al lettore a ricostruire non la fabula cronologica della sua scrittura narrativa frammentata, ma quella psicologica, nel tentativo di veder quadrare una volta per tutte i conti con il mondo. Allora proviamo: in fondo in fondo in fondo in fondo il T. struggente (Di mia madre, p. 59), in fondo in fondo in fondo il T. fratello (L’ultima volta, p. 79), in fondo in fondo il T. amico di scrittori lucani (Gaetano, p. 19 ed altre), in fondo il T. impiegato di banca (In cassa sono allineato, p. 16, tra le tante), un tantino più su il T. pittore (La moglie di un mio amico, p. 55), e sempre a salire: il T. musicologo (per tutte valga la citazione di p. 21), il T. lettore di poeti (Ne ho letti di poeti, p. 66), il T. conferenziere (Mi propongono un incontro, p. 64), il T. fustigatore di autori lucani (p. 21 e qualche altra) il T. epistolografo (Il funzionario, p. 39, La vendetta, p. 69), il T. scrittore (I miracoli accadono, p. 23)il T. famoso scrittore (Ecco il famoso scrittore, p. 15), il T. alle prese con il suo «lui» di moraviana memoria (ma qui le citazioni sarebbero davvero tante, benché una le superi tutte, Luciana, p. 47), il T. scalatore che s’inerpica sull’Arioso – o su una sedia – per vocazione suicida (Oggi in bici, p. 62, E come un sogno, p. 94). Il lettore che vorrà competere con il recensore nell’interpretazione del libro è avvertito che, ovviamente, cambiando l’ordine degli addendi, la somma non cambia: questo resta sempre l’ultimo intrigante godibilissimo bel libro di Giancarlo Tramutoli, Uno che conta.

12/09/2007 -  Il Quotidiano della Basilicata
Le increspature del vivere di Tramutoli, di Mimmo Mastrangelo

Dopo una recensione di Antonio D’Orrico, apparsa sul “Magazine” del “Corriere della Sera”, Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo (Marsilio) di Gaetano Cappelli è diventato uno dei pochi ma accessi “affaires” letterari dell’estate. Qualcuno si è sbilanciato nell’avvicinare Cappelli a Joseph Roth.
Non so se questo accostamento sia riscontrabile, quello che posso affermare è che il romanzo di Cappelli non appare per niente eccezionale (la storia è tutta ingarbugliata e i guizzi estetici sono desaparecidos), e messo a confronto con Uno che conta (Manni Editori) di Giancarlo Tramutoli diventa ancora più debole ed evanescente. Ora cosa c’entra Tramutoli con Cappelli? Perché nel recensire un libro bisogna chiamarne in causa un altro?
La ragione è che Giancarlo Tramutoli vive a Potenza come Cappelli, lo frequenta, ha per lui una stima (letteraria) sconfinata e in Uno che conta ne parla come di un John Lennon di provincia che “esibisce spesso un cinismo divertito per camuffare la sua sensibilità”, solamente che il suo “spezzettato” romanzo non ha avuto lo stesso successo (e attenzione) della “saga intorno all’Aglianico”. Ma si sa, questi sono i controversi casi della letteratura, dove più di tutto escono allo scoperto le lacune di una critica appiattita sul già noto o sull’evento del momento. Spostando l’attenzione solo sul bellissimo Uno che conta diciamo pure che potrebbe essere definito quello che nel gergo cinematografico viene chiamato un mockumentary, in cui la finzione si mischia con il reale.
E la realtà nel libro è appunto la vita stessa di Tramutoli, cassiere in un istituto di credito del capoluogo lucano che da sempre si porta il fardello di uno sviscerato amore per la scrittura e, in particolare, per la poesia e gli aforismi. Nel romanzo il bancario – che oltre a scrivere ama dipingere tele astratte e ascoltare Wim Mertens – del suo presidio di lavoro ne fa un avamposto per fotografare il microcosmo della sua addormentata e provinciale città. Dopo un vano tentativo di suicidio gli capita la fortuna che il suo primo libro venga pubblicato da una grande casa editrice e, in poco tempo, scali le vette della classifica delle opere più vendute. Ma a quelle che possono essere le soddisfazioni letterarie così tanto attese fanno da contraltare degli amori rocamboleschi, (contrassegnati da forti assalti della carne) tutti destinati ad arenarsi in stati di “depressione postuma”
Tramutoli ha una irriverenza alla Bukowski nel narrare le sue “manie erotiche”, e anche quando racconta altro le sue battute freddano e sorprendono il lettore. “Uno che conta” ha una storia che mentre la sfogli scopri che appartiene ad un altro emisfero, ad una narrativa tanto discorde, che solo una volta ogni due lustri puoi ritrovare (per incidente) nelle cinquine finali degli Strega o dei Campiello. E a parte il finale che è romanzescamente drammatico, ma può essere preso anche come una infinocchiante soluzione goliardica, Tramutoli, dietro alle paranoie quotidiane vissute dal personaggio cucitosi addosso lascia affiorare sopra le righe le increspature del vivere di una più estesa umanità. Il suo libro è rigorosamente da sconsigliare a chi preferisce le narrazioni piatte, ma di sicuro si sposa con le attese di chi spera che un libro sia l’arnese di una ginnastica mentale disinfestante, che liberi da certi paludati terreni della lettura. Insomma, un libro agli antipodi del tanto incensato (almeno dalla stampa lucana) Premio Campiello Mille anni che sto qui di Mariolina Venezia.
 
01/09/2007 - Pulp
La poesia dolceamara di Tramutoli, di Teo Lorini

Quest’estate il mondo, già vivace, della narrativa del sud Italia s’arricchisce di un nuovo scenario. Accanto alla nuova avventura del commissario Montalbano (questa volta persino più spumeggiante del solito); agli esordienti come i pugliesi Flavia Piccinni e Giancarlo Liviano, intravisti nel Best Off di minimum fax; a una nuova collana di narrativa italiana, “Punto G”, varata dall’editore leccese Manni; sale decisamente alla ribalta la città di Potenza. Facile, forse troppo, pensare a un effetto-Vallettopoli o considerare quanto sia intrinsecamente romanzesco il contrasto fra l’icastica cafoneria di un Corona e l’aplomb di un Woodcock, ma è un fatto che dall’inizio dell’estate il potentino Gaetano Cappelli e la sua Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo vengono spinti con l’abituale veemenza da Corriere Magazine. A margine del fenomeno Aglianico, o addirittura alla sua origine, ci sarebbe una lettera in cui un altro lucano, il poeta e romanziere Giancarlo Tramutoli, ha segnalato il concittadino Cappelli ad Antonio D’Orrico.
Lasciando ad altri l’arduo compito di stabilire se davvero con Cappelli la letteratura italiana abbia trovato il suo Philip Roth secondo il lieto (e soprattutto sobrio) annuncio di D’Orrico, occupiamoci qui senz’altro di Uno che conta, secondo romanzo di Tramutoli, a sei anni di distanza dal suo esordio per Fernandel. Protagonista è uno scrittore che campa lavorando come bancario. A un passo dal suicidio per frustrazione, arriva La Telefonata: sarà il più grande editore d’Italia a pubblicare il suo romanzo breve. Uno che conta narra le tragicomiche vicende che si svolgono nei warholiani 15 minuti di celebrità del suo protagonista: un fugace “momento di gloria” in cui si concentrano piccole rivalse, buffe delusioni, presentazioni letterarie e incontri amorosi, tutti raccontati in prima persona. Il fluido monologo che sostanzia il romanzo ricorda in qualche passo gli estremi d’autobiografismo di Paolo Nori (esplicitamente citato) ma più spesso si apre a pagine ricche di ironia, di talento per il grottesco, di una poesia dolceamara che sono tutte di Tramutoli e che costituiscono la sorpresa più convincente di questo bel romanzo.

21/12/2007 - Corriere del mezzogiorno - Bari
Un Natale di libri, di Livio Romano

Già autore di aforismi quotidiani per il “Corriere delle Sera”, Tramutoli narra del compiacimento e le inquietudini di un aspirante Scrittore Famoso che vive in provincia e, per campare, fa il cassiere in una banca. Si ride molto, con amarezza e presi per mano da una scrittura che mima l’oralità per raccontare le disavventure di uno qualsiasi, uno che potremmo essere noi stessi.