Da nipote di Starace a scandalosa Giò. E oggi suora laica, di Antonella Barina
Sannicola (Lecce).
«Il bisogno di esibirmi ha mosso tutta la mia vita: non ho mai agito per convinzione, ma per apparire». Ecopelliccia leopardata, come il foulard al collo, gonna lunga e turbante, a 75 anni Giò Stajano parla di sé con lucidità spietata. «Durante la Dolce vita, sono stato il primo in Italia a gridare la mia omosessualità con libri shock. Poi il primo a tenere una rubrica gay sui giornali. E il primo protagonista delle cronache mondane a cambiare sesso. Quindi la prima neo-donna a rilanciarsi come pornostar… Ma a 64 anni ero caduta nell’oblio. Che fare per tornare alla ribalta? Sposarmi in chiesa, no: lo aveva già fatto Coccinelle al ritorno da Casablanca. Pensa e ripensa, l’idea: potevo contrarre il matrimonio più eccelso, quello con Dio. E così mi sono ritirata nel convento delle suore di Betania del Sacro Cuore, in Piemonte. Pregustando l’ennesimo scandalo: l’icona della trasgressività diventava sposa del Signore. Ma i miei piani sono andati a monte».
Il volto di Giò Stajano, ritoccato da vari interventi di chirurgia estetica, è sorridente. Ha da poco finito di dettare a un amico, Willy Vaira, la storia della propria vita, che oggi Manni porta in libreria: Pubblici scandali e private virtù. Dalla Dolce Vita al convento (pp. 136, euro 13). E intorno a lei, nella sua casa di Sannicola, vicino a Lecce, pareti e mobili sono gremiti di santini, Madonne luminose, presepi, angeli in volo, effigi sacre sotto vetro, riproduzioni della Sindone, rami d’ulivo benedetto, vite dei santi… Di sottofondo, si sente Radio Maria.
«Il fatto è che in quei mesi di vita monastica mi sono sentita serena come non mai. Le giornate scandite dalla preghiera mi hanno dato la pace. E pian piano ho ritrovato la fede della mia infanzia, quando studiavo dai gesuiti. Ma anche i sensi di colpa… Potevo ingannare il mondo, non Dio. Così, il giorno prima della mia consacrazione a suora laica, sono andata dalla madre superiora e le ho svelato il tranello: di nascosto, avevo convocato un giornalista e un fotografo, che l’indomani avrebbero fatto lo scoop. Non batté ciglio: disse che forse il Signore si stava servendo di me per riportare sulla retta via tanti altri peccatori». Il servizio in realtà suscitò gran clamore: l’ennesima provocazione di Giò. «La verità è che sono cambiata», giura lei. «Vado a messa quasi tutti i giorni, leggo le vite dei santi e, dopo una vita dissoluta, rispetto il voto di castità».
Da tempo Giò Stajano è tornata a vivere nel suo paese natale, in Puglia, dove nel ’31 nacque come Gioacchino, il primogenito della figlia del gerarca Achille Starace, segretario del Partito fascista («Ricordo il ritorno del nonno dalla campagna d’Africa: la folla esultava sotto il nostro palazzo. E la mamma venerava quel nonno fautore della maschia gioventù italiana: pensi il dolore che devo averle provocato con la mia omosessualità»).
Villa Starace, con affreschi e mosaici del primo ‘900, è diventata Villa Excelsa: sale per matrimoni e un ristorante frequentato anche da Massimo D’Alema. Intorno, su quelle che un tempo erano le terre di famiglia, si è esteso il paese. Dove Giò affitta 25 metri quadri, senza finestre e riscaldamento, molta polvere, un gatto e un letto singolo (incorniciato, però, da una maliziosa tenda rossa): «Ho guadagnato molto, sempre in nero, e speso ancora di più: oggi devo cavarmela con la pensione sociale. Un bilancio? Due terzi della mia vita sono finiti al macero, a inseguire maschi deludenti. Ad abbrutirmi nel buio dei cinema. Tutto il resto – i libri, il giornalismo, le parti nei film – è avvenuto nei ritagli di tempo».
Approdato a Roma poco più che ventenne, sotto la tutela dell’onorevole Cicerone, detto «zia Vincenza», deputato monarchico leccese che va in Parlamento con un velo di cipria, Gioacchino riesce a ritagliarsi uno spazio della Doce vita della città.
Di locale in locale fino all’alba, paparazzi al seguito, con Walter Chiari, Ava Gardner, re Faruk… E l’immancabile Novella Parigini, pittrice e «regina di via Margutta», abilissima nel circondarsi di personaggi stravaganti per attrarre l’attenzione. Lei porta Giò sempre con sé, incoraggiandolo a dipingere e a esporre i suoi quadri. Ma è un libro-scandalo, Roma capovolta, a far balzare il ragazzo alla cronaca, nel ’59: storia delle sue folli scorribande gay, prima il romanzo va a ruba, poi viene sequestrato. Così Giò diventa il più celebre omosessuale d’Italia. Tanto che Fellini gli chiede di interpretare se stesso in un piccolo ruolo nella Dolce Vita. E prende l’idea del bagno di Anita Ekberg nella fontana di Trevi proprio da un pediluvio improvvisato da Giò e Novella Parigini nella Barcaccia di piazza di Spagna. «Non ero certo un grande attore» commenta oggi Stajano. «Ma ho avuto ruoli effeminati anche in film di Steno, Corbucci, Risi, Sordi, Pingitore…».
Seguono nel tempo altri romanzi: altri scandali. E per un po’ Giò calca anche i palcoscenici dei night, esibendosi come cabarettista e sciantosa, anche a Parigi. Poi debutta nei giornali, a raccontare (e inventare) i pettegolezzi del bel mondo. Fino alla nascita di Men, il primo settimanale «per soli uomini», dove – cosa mai vista – inaugura una rubrica di lettere per il pubblico gay: «Il salotto di Oscar W. spolverato da Giò Stajano». Un successone. Che lo porta fino alla direzione di Men.
Intanto si susseguono gli amori e le delusioni: spesso coronate da teatrali simulazioni di suicidio davanti ai fotografi. «Il guaio era che mi innamoravo spesso di uomini che dopo un po’ mi lasciavano per una donna» spiega Giò. «La mia femminilità era rinchiusa in un corpo maschile: non potevo pretendere granché, mi dicevano. E allora a cinquant’anni, nell’82, presi la grande decisione: sarei diventata anche fisicamente la donna convinta che tutti desideravano. Quando lo dissi a mia madre, mi misurò la febbre, convinta che stessi delirando. Ma io mi sottoposi a un lifting facciale completo, mi dotai di protesi al silicone della quarta misura e infine andai a Casablanca. Per la mia famiglia fu quasi un sollievo: non ero più l’ambiguo personaggio “irregolare”. Mia madre mi chiamò per la prima volta “figlia mia”».
Stajano continua: «Ero finalmente pronta a scatenare la mia rivincita su tutti i maschi dell’universo. Iniziò così il periodo più dissennato della mia vita: prostituta d’alto bordo e pornostar. Una vita riprovevole, che allora mi sembrava il massimo della femminilità». E giù, oggi, a condannare quegli anni alla luce della ritrovata moralità. Con qualche guizzo divertito: «Sa che annuncio misi sul Messaggero? “Fascinosa esperta in culinaria e golosità offresi…”».
Civettuola, nonostante il suo quasi metro e 80, Giò scoppia a ridere: provocare è più forte di lei. E le sue provocazioni, per quanto eccessive e discutibili, per quanto motivate dalla ricerca personale del successo e non d una coscienza sociale, hanno contribuito a svecchiare l’Italietta farisaica degli Anni ’50. Come dice Nichi Vendola, presidente della regione Puglia: «Con la sua personalità eccentrica, tra trasgressione e innocenza, esibizione impudica e ansia di santità, Stajano ha squarciato il velo di ipocrisia che dominava l’Italia di allora, anticipando fenomeni culturali e di costume che in seguito sarebbero entrati nella coscienza collettiva. Giò è stato il primo testimone del sessualmente scorretto. E il fatto che provenisse da una famiglia potente, perfettamente inserita nell’establishment dell’epoca, rende le sue scelte particolarmente interessanti: questo salentino trapiantato al Nord altro non era che un personaggio di Jean Genet nell’Italia del dopoguerra».