Giò Stajano, Pubblici scandali e private virtù

18-02-2007

Transessuale io? Sono una donna, il terzo sesso non c'è, di Gloria Indennitate

«Transessuale? Mai stata un transessuale. L’unico transessuale che esiste in natura è il baco da seta che si chiude nel suo bozzo per poi divenire farfalla…».
Voce suadente, ma ferma, decisa, quella di Giò Stajano a dir poco furibonda quando rilegge la quarta di copertina del libro pubblicato da Manni, Pubblici scandali e private virtù (introduzione di Piero Manni), nel quale il primo omosessuale dichiarato d’Italia, icona gay per eccellenza, si racconta a Willy Vaira. Centotrentratré pagine fitte di domande e risposte, dal primo capitolo intitolato Il sorriso scandaloso di un’epoca – quello dell’allora Gioacchino Stajano, nato a Sannicola, in provincia di Lecce, l’11 dicembre 1931, nipote per parte di madre del gerarca fascista Achille Starace – all’ultimo intitolato Dalla Dolce Vita al convento, sottotitolo del libro. Una biografia che Giò, dal 1982 donna a tutti gli effetti dopo l’intervento a Casablanca, definisce come la seconda puntata che segue La mia vita scandalosa, autobiografia sul suo vivere nel mare in tempesta fra i pronomi «lui» e «lei» con esperienze sempre al limite, dirompenti.
Perché la offende essere definita «trans»?
«Guardi, nel genere umano di sessi ce ne sono solo due: maschile e femminile, con propri apparati genitali. Qualcuno ha mai visto su qualche persona un apparato genitale transessuale? Ci sono i travestiti, che si vergognano di dire che sono uomini perché “sotto” hanno il pisello e le palline. Tipo quell’onorevole, come si chiama, Guadagno… Luxuria».
Veramente Vladimir Luxuria si definisce «transgender»…
«E cosa significa? Nulla. Sono uomini con abiti da donna, se vogliono esserlo davvero si fanno operare. Io non mi sono mai travestita e mi sono sempre comportata adeguatamente all’anatomia che avevo e che ho, soprattutto per rispetto alla mia famiglia, pur avendo dichiarato di essere omosessuale col mio primo libro Roma capovolta che, figuriamoci, fu “mandato al rogo” dalle autorità di quel periodo democristiano con Scelba e il resto».
Lei è stata attore/attrice, cantante, cabarettista e come giornalista ha anche curato rubriche su riviste di costume, attualità ed eros sul finire degli anni ’60.
«L’esperienza di giornalista più nota l’ho vissuta a “Men”, una rivista indirizzata ad un pubblico eterosessuale e l’editrice Adelina Tattilo mi consentì di inserire due rubriche dedicate agli omosessuali, una di corrispondenza chiamata Il salotto di Oscar Wilde e una di fotografie con bellissimi uomini: il primo fu Alessio Orano, poi marito di Ornella Muti, ne parlo anche nel libro. Ma non mi sono mai sognata di andare in redazione vestita da donna».
Chissà quante difficoltà ha incontrato nel trattare un argomento così spinoso…
«Era il 1969, le prime settimane dovetti inventarmele le lettere, poi cominciarono ad arrivarne a mucchi. E molti omosessuali dei paesi o delle città, che pensavano di essere gli unici, presero coraggio. A cominciare da quella persona squisita che è Nichi Vendola, il quale mi ha ringraziata per i libro che ho scritto».
Tornando al recente libro…
«Ah, riguardo a questo ho già contattato un avvocato che chiederà al procuratore della Repubblica di Lecce di ritirare tutte le copie già distribuite nelle librerie con quella parola transessuale perché sono una donna e in più mi sono già fatta consegnare dall’anagrafe di Sannicola i certificati di iscrizione della mia nascita col sesso maschile col cambiamento in quello femminile trasmesso in seguito alla sentenza del Tribunale di Latina, perché in quell’epoca abitavo a Sabaudia».
Però impedirà a tanti lettori di poter conoscere meglio la storia di Giò Stajano.
«Potranno farlo quando sarà stata corretta quella parola che rifiuto».
Secondo lei, a chi potrà essere utile la narrazione del suo passaggio da una vita scandalosa ad un’altra completamente opposta e legata a Dio?
«Aiuterà magari a far capire a chi si trova o si è trovato nella mia condizione di aver condotto una vita dissoluta che la misericordia del Signore è tanto grande da accogliere tutti. Così mi esortò a fare la madre superiora del convento di Betania del Sacro Cuore a Vische, in provincia di Torino, dove sono stata nel 1996, e così ho fatto. Il suo consiglio mi evitò di fare l’ennesimo scoop scandaloso».
Lei ha preso i voti?
«Solo quello di castità l’anno dopo, qui, nelle mani del parroco con l’autorizzazione del vescovo. I voti di povertà e di ubbidienza non ho potuto prenderli perché non vivo in comunità ma da sola; la mia vita è serena, dipingo i miei quadri naif, e nella mia casa sento la grazia del Signore che ha voluto salvarmi dall’abisso in cui stavo precipitando. Il mio unico conflitto è quello di avere solo amici gay e sono contraria a quegli eccessi che non hanno rispetto della religione cristiana».
I suoi «pubblici scandali» hanno in qualche modo fatto emergere, pian piano, le “private virtù”?
«Non credo proprio. Tutto era soffocato dal passare il mio tempo libero alla ricerca di rapporti sessuali con uomini o nel non fermarmi davanti a niente per egoismo. E, ancora, una volta divenuta donna mi sono scatenata a fare la pornostar e la squillo. No, tutto è venuto fuori per la grazia del Signore».
La sua conversione ricorda, con le dovute differenze, quella di Claudia Koll.
«È vero, non la conosco di persona, mi dicono che giri per l’Italia, raccontandola. Spero che una volta venga a Sannicola».
Facendo un volo nel secolo scorso, cosa rammenta del periodo felliniano?
«Federico mi volle per il suo film, è noto, sia per il mio ruolo di scrittore omosessuale di Roma capovolta, sia perché frequentavo quel giro di aristocratici romani o di persone qualificate come appartenenti alla Dolce vita. Lui, però, non riuscì a stravolgermi come in genere faceva con i suoi personaggi, spesso grotteschi. Ero lontana dal prototipo del gay tutto mossette e gridolini. Infatti, sono presente solo in una scena, per le altre utilizzò una controfigura che tutti hanno sempre creduto fossi io».
Lei è nipote di Starace. Che rapporto aveva col regime fascista?
«Nessuno, lo ricordo come nonno e basta. D’altronde se il Fascismo fosse sopravvissuto, una come me chissà che fine avrebbe fatto».