Giò Stajano, una delle poche icone gay italiane, vive a Sannicola, un piccolo comune salentino tra Gallipoli e Lecce, dove da circa quindici anni si è ritirata a vivere, in una minuscola casa rifugio. L'ho incontrata, in attesa dell'imminente uscita di Pubblici scandali e private virtù - Dalla Dolce Vita al convento, edito da Manni Editori e scritto da Willy Vaira, dove l'autore racconta le intime confessioni della lunga e travagliata vita di Giò; ne viene fuori un pezzo di storia del costume culturale ed omosessuale italiano, che inizia nei primi anni Cinquanta, quando Giò, nipote del gerarca fascista Achille Starace, braccio destro di Mussolini, per primo in Italia dichiara pubblicamente la sua omosessualità. Sull'onda del clamore suscitato, nel 1959 pubblica Roma capovolta, il primo romanzo a tematica omosessuale che racconta con dovizia di particolari ciò che accadeva nei salotti e nelle alcove della Roma papalina e nobile, che lui per diritto di nascita frequentava. Lo scandalo fu enorme, il libro venne sequestrato e bruciato in piazza, rendendo Giò famosissimo anche all'estero, divo incontrastato del Jet-set e della dolce vita. Osannato o dissacrato, come tutti i personaggi di rottura, contribuì fortemente a far sì che il mondo gay sommerso iniziasse ad avere una sua visibilità ben precisa, culminata con la nascita di vari circoli omosessuali, a cui però non prese mai parte direttamente, fino alla storia dei giorni nostri e ai recenti “DICO”. Negli anni 1960-70 riuscì a crearsi spazi artistici ben definiti, prima con la pittura, insieme a Novella Parigini, poi nel cinema dove tra gli altri lavorò con Fellini ne La Dolce vita, Dino Risi in In nome del popolo italiano e Alberto Sordi in Il comune senso del pudore. Ma fu soprattutto in campo giornalistico che Giò operò una vera e propria rivoluzione per il mondo omosessuale. Convinse infatti l'editore Adelina Tattilo, recentemente scomparsa, a inserire sul settimanale esclusivamente eterosessuale “Men” una rubrica di lettere intitolata Il salotto di Oscar W, dedicata agli omosessuali. Il successo fu insperato e grandissimo, per diversi anni Giò diventò il punto di riferimento per tantissimi gay che vivevano in clandestinità la loro realtà, dal nord al sud. Successivamente, a metà degli anni 1980, l'intervento chirurgico a Casablanca operò quella trasformazione che la fece diventare la più famosa transessuale d'Italia. Poi lentamente la sua stella si appannò. Il mondo politico-culturale gay, sempre più attento e impegnato nel sociale, non era più interessato ai suoi eccessi e ai suoi colpi di testa. Ritornò alla ribalta nel 1991 con la pubblicazione della sua autobiografia e come protagonista del film documentario Il fico del regime (girato da me medesimo e Ottavio Mai) per Rai tre, per poi ritirarsi nel Salento. A metà degli anni novanta decise di entrare nel convento delle suore di Betania e del Sacro Cuore a Vische e cambiare radicalmente il suo stile di vita. Ora vive una dimensione francescana da suora laica, in quanto non ha potuto diventare suora a tutti gli effetti per ragioni anagrafiche, lontana da quei clamori che sempre l'hanno accompagnata. Questo e molto altro nel libro che andrete a leggere. Ora poche domande sulla Giò di adesso.
Non l'ho decisa io, è stato un percorso che avevo iniziato per fare un nuovo scoop, volevo diventare la sposa di Dio, la prima transuora, sono entrata per tre mesi in convento e lì ho riscoperto la fede.
Hai raccontato per la prima volta a Willy Vaira, questo cambiamento e tante cose che nessuno sapeva; perché hai deciso di farlo e perché hai scelto proprio lui?
Più che rimpianti ho solo delle amarezze per il mio comportamento scandaloso o dissennato che per anni ho avuto. Adesso aspetto, finalmente in pace con me stessa, il mio incontro con Dio.