Scandali pubblici e virtù private che sono costante ricerca di verità, di Maurizio Gregorini
Di rado le nuove generazioni di omosessuali possono sapere di chi sia stato Giò Stajano e cosa abbia significato il suo modo di essere, di vivere, per l’emancipazione della stessa omosessualità. Ha studiato lettere e filosofia nella università di Roma; è stato pittore a via Margutta (promosso dalla sua intima amica Novella Parigini); è stato attore (lavorò con Federico Fellini ne La dolce vita, poi con Dino Risi ne In nome del popolo italiano e con Alberto Sordi ne Il comune senso del pudore); è stato scrittore. Roma capovolta fu il suo primo grande successo letterario, edito nel 1959 e subito sequestrato e bruciato in piazza per i contenuti scabrosi. Una vicenda che lo rese subito noto anche all’estero (vi raccontava con dovizia di particolari quel che accadeva nei salotti e nelle alcove della Roma papalina e nobile, che Giò per diritto di nascita, frequentava). In questo senso non furono fortunati nemmeno gli altri libri: Meglio l’uovo oggi (all’epoca disponibile all’estero, come il primo, ma sequestrato in Italia). Roma erotica”(prima sequestrato e poi dissequestrato), “Le signore sirene” e il “Letto stretto”. A tale produzione letteraria vanno aggiunti Caro Giò… (lettere a Giò Stajano pubblicate nella rubrica omonima del settimanale Men) e “Album di versi sparsi, libercolo di poesie dedicate alla sua terra. Premettiamo ciò perché si possa comprendere appieno cosa abbia voluto dire un tipo di scrittura negli anni Cinquanta e Sessanta, uno stile, una franchezza che avrebbe poi ispirato su questa stessa via i vari Alberto Arbasino, Pier Paolo Pasolini, Dario Bellezza, Pier Vittorio Tondelli e Aldo Busi (tanto per citare alcuni nomi). Ma Giò Stajano si dedicò anche al giornalismo (collaborò a settimanali e periodici tra cui Lo specchio, Momento Sera, Stop e Men) e a soggetti e sceneggiature di film. Detto ciò, anche se egli non è più Giò ma Gioacchina Stajano per via di una operazione di cambiamento di sesso avvenuta a Casablanca nei primi anni Ottanta, tuttora si può considerare il personaggio quale icona gay degli anni Cinquanta e Sessanta, insomma degli anni della Dolce Vita romana. Oggi, la riservata signora dedita alla pittura e agli esercizi spirituali, racconta la sua esperienza (l’infanzia dorata segnata dalla personalità del nonno e dalla loro aderenza al fascismo; la dolce vita romana, vissuta da protagonista tra set cinematografici, via veneto e i night club, Parigi e i suoi scandali, le frequentazioni col mondo della politica, della cultura e dello spettacolo, i tanti amori iniziati e finiti tragicamente, gli amici/amanti canoisti di Sabaudia, i vari suicidi tentati, la riscoperta di Dio). Lo fa pubblicando un libro, Pubblici scandali e private virtù”(sottotitolo ‘Dalla dolce vita al convento’, Manni Editori, 133 pagine, 13,00 euro), rivelandosi così all’amico Willy Vaira, che ne ha redatto le confidenze. Quel che emerge dalla lettura è lo spaccato reale di un pezzo di storia del costume culturale ed omosessuale di casa nostra, uno spaccato che prende il via dagli anni del secondo dopoguerra, quando Giò Stajano, nipote del gerarca fascista Achille Storace, braccio destro di Mussolini, per primo dichiara in Italia la sua omosessualità. Fu scandalo assoluto, ma fu, come annota Willy Vaira nella sua introduzione “una vera apertura, grazie alla sua esuberante personalità, alle provocazioni e al coraggio, di una falla nell’imperante bigottismo – essenzialmente di facciata – dietro il quale si trincerava allora la società italiana. Infatti, osannato o aborrito a seconda delle occasioni, Già riuscì ad imporre usi e costumi che oggi appaiono banali, ma che a quei tempi erano considerati assolute stravaganze se non pura follia”. Tant’è che lo stesso Vaira, continuando nella introduzione, ammette che si deve a lei, “pioniere di tanti personaggi del mondo dello spettacolo, della cultura, dell’arte, della politica o della moda se, a partire dagli anni Cinquanta, si sono fatti conoscere dichiarando la loro diversità”, lei, l’ex Giò, che ora si è ritirata a vivere a Sannicola, in una minuscola casa divenuta il suo rifugio. Però, anche se contribuì fortemente a far sì che il mondo omosessuale emergesse dal buio destinatogli, iniziando così a godere di una visibilità precisa, culminata dalla nascita di vari circoli omosessuali (Angelo Pezzana diede via al Fuori, Massimo Consoli all’Ompos), egli non ne fu mai parte integrante, attiva, preferendo all’elite della diversità una coerenza individuale che lo rendeva unico, inimitabile. A tal punto che le sue ideazioni giornalistiche divennero di vero e proprio atto rivoluzionario per il mondo omosessuale: si deve a lui l’idea di inserire su di un settimanale esclusivamente eterosessuale (si parla dei primi anni Settanta) una rubrica dedicata ai soli uomini e chiamata “Il salotto di Oscar Wilde”, in seguito presa d’assalto da ogni tipo di omosessuale represso, finché – investito da un successo insperato e vasto –, Stajano non divenne punto di riferimento per molti gay, destinati a vivere la loro realtà, tanto al nord Italia come al sud, in maniera clandestina. Col passare degli anni la sua stella si appannò (nel frattempo, prima del cambiamento di sesso, andò a vivere presso Sabaudia; poi, una volta operata, si dedicò alla prostituzione e ai fotoromanzi hard, girati a Parigi insieme a Gabriel Pontello), anche se un breve ritorno alla ribalta lo ebbe con la pubblicazione, nel 1991, della sua autobiografia e per un film (“Il fico del regime”, di Ottavio Mai e Giovanni Minerba girato per Rai tre) di cui fu protagonista. Poi la scelta di ritirarsi nel Salento e, a metà degli anni Novanta, di entrare nel convento delle suore di Betania e del Sacro Cuore a Vische, andando così a mutare radicalmente il senso della sua vita. Ora, nella sua piccolissima casa, messe da parte le stravaganze, gli eccessi, i soldi e la fama, Gioacchina Stajano vive in una dimensione francescana, da suora laica (non ha potuto diventare suora a tutti gli effetti per questioni anagrafiche), lontana da quei clamori che ne hanno accompagnato l’esistenza: “Non è stata una mia decisione, ma una decisione venutami dall’alto: era mia intenzione divenire sposa di Dio. Di qui l’entrata nel convento e la riscoperta della fede”, racconta a Vaira. E ancora: “Una decisione decisamente meditata, poiché ritengo che il mio esempio di gran peccatore/peccatrice prescelto dal Signore possa aiutare gli altri a ritrovare il gioioso cammino di Dio. Ora passo le mie giornate con la mia gatta e i miei pennelli, leggendo e pregando. Di rado incontro gente e, in realtà, ora ho pochi amici. All’età di settantacinque anni non rimpiango nulla del mio passato. Casomai avverto dell’amarezza pel comportamento dissennato e scandaloso a cui mi sono abbandonato per anni. Ora sono in pace con me stessa, e l’unica cosa che aspetto è il mio incontro con Dio. Mi auguro di migliorare nel cammino della grazia verso il Signore, per arrivare al giorno della fine, quando serenamente potrò dire: Ecco Signore, sono qui, prendimi con te”.