Libri di plastica e libri del cuore, di Vincenzo Piccione
Ci sono libri di plastica, intercambiabili, sovrapponibili, indistinguibili; ci sono libri capaci di costruire un mondo, che trasmettono emozioni, creano figure e linguaggio; ci sono poi alcuni libri "originali", nel senso che hanno un rapporto talmente forte con l'origine, che la vita circola per sempre nelle loro pagine, come se fosse ancora in fieri e si svolgesse attualmente sotto i nostri occhi. Libri magari non urlati dall'industria culturale, ma che, quando ti ci imbatti, ti accorgi che esprimono un sentire comune, in cui, per un tratto o per un altro, ti riconosci. Libri che accetti così come sono, con asprezze e bellezze, perché di fronte alla loro verità i discorsi su forma e contenuto, impegno e disimpegno, creazione e rappresentazione e simili diventano poco significativi. Uno di questi ultimi libri è Paulu Piulu di Giorgio Morale (Manni 2005, pag. 176, euro 15).
Leggendolo si ha l'impressione che in esso non ci siano invenzioni, ma solo verità e sincerità estreme: il Narratore si cala totalmente nei panni di un'infanzia non facile, inconsapevole e innocente, i cui fatti, duri e pesanti come pietre, si incidono talmente nella memoria, da poter dire che siano destinati a rimanervi, in modo indelebile, anche dopo mille anni.
1. Paulu Piulu è la storia di un'infanzia in Sicilia negli anni 50. Il protagonista, il piccolo Paolo (in siciliano Paulu), assorbe in sé tutte le insicurezze, le speranze, i tormenti della madre e del padre, che vivono i primi difficili anni della loro storia coniugale con l'ansia dei soldi per vivere e per concretizzare il miraggio di avere una casa propria. Il miraggio si avvera, ma le spese e le cambiali costringono i due all'emigrazione; un vero calvario che segnerà tutta la vita di Paolo.
L'azione della narrazione si svolge ad Avola, in Sicilia, dove è nato l'autore, tutta attorno al pensiero e allo sguardo attento e profondo di Paolo, che costituisce l'unità del racconto di circa 10 anni di vita.
Nelle pagine di Giorgio Morale il lettore avverte, stranamente e magicamente, nelle sue carni, le stesse sensazioni di Paolo: il caldo siciliano che toglie il respiro e il sonno; il freddo, la povertà e l'umidità della casa nella fabbrica, con lo stillicidio dal tetto di canne e gesso; le dolcezze e le durezze della madre; l'amore silenzioso e il carattere sommesso del padre; l'egoismo e la tirchieria dei parenti paterni; il dolore e la desolazione dopo la partenza del padre per la Germania; il disagio e il disadattamento di Paolo all'asilo e poi più tardi all'Istituto Umberto I di Siracusa; l'affabilità della Mamma Maria e la figura estrosa del nonno materno, il favoloso carrettiere; la religiosità tutta personale e domestica della madre; la situazione di disagio morale per gli ingenui furti ai grandi magazzini ("Gesù perdona i poveri, perché i poveri sono santi!"); poi, infine, assai vividi, gli odori, i colori, i sapori e le immagini della natura e dei quartieri di Avola.
Alla fine della prima parte di Paulu Piulu, l'opera di Giorgio Morale, nel racconto doloroso della partenza del padre di Paolo per la Germania, raggiunge il massimo del pathos. C'è un pianto dell'anima, c'è tutto il vivo bruciore di una ferita che non si risana e non si rimargina: c'è la sacra celebrazione di una memoria che non si cancella, ma che con ritmo liturgico si riattualizza e si ripete nel tempo, per tenere nel perenne humus le radici della propria identità e della verità della propria storia.
Il libro si conclude con il mesto ricordo del richiamo della "piula", del verso superstiziosamente malaugurante di questo volatile della notte e della morte, nell'area della fabbrica di Avola, ricollegato, stranamente, al canto della "piula" sui tetti di Milano, ove Paolo ormai si trova da anni.
2. Paulu Piulu si presenta come un libro scritto da un narratore esterno col cuore di un bambino, per dare una storia alle verità che costituiscono i cardini di un "inizio" e di un "farsi" dell'uomo nelle vicende del tempo. E' una rivisitazione delle verità della fanciullezza, rivissuta nelle tante immaginazioni e nei pensieri surreali che affollano, anche, in maniera abnorme, la mente del piccolo Paolo.
Alcuni di questi pensieri abbracciano situazioni esistenziali e tormenti interiori, per certi versi assai simili ai disincanti e alle visioni pessimistiche leopardiane. A essi si lega un senso evanescente di religiosità, un bisogno di capire il trascendente, il divino che ci sovrasta dai Cieli, l'attesa di capire cosa c'è in Paradiso, come e cosa pensa Dio di noi quaggiù sulla terra, di spiegarsi il perché della morte: qui, Paolo, le risposte non le trova tutte; c'è la voce religiosa della madre che a volte lo soccorre in questi pensieri "teologici".
La poesia dell'infanzia in Paulu Piulu c'è, perché a crearsela è lo stesso Paolo: il cane Diana, il prato nella fabbrica, i giochi solitari, le corse, il vento, la magia delle feste, gli indovinelli del padre, la raccolta delle lumache insieme al padre, le sporadiche visite al mare. Sono brevi e intensi momenti di poesia, di giocosa spensieratezza, di candore infantile e di fantasie preadolescenziali, di luci e di ombre. Al contempo Paolo vive sempre e drammaticamente i rigori eccessivamente protettivi della madre, le ermetiche chiusure col mondo esterno: nessuno deve entrare nei sacri drammi della famiglia. Lo stesso dramma della partenza del padre in Germania si consuma tutto tra le gelide mura domestiche; così la malattia della madre, le paure, i crucci, l'insorgenza di tante domande, le non-risposte, i silenzi cupi, le penombre di una casa che si chiude al mondo. Anche le assurdità della vita, i bisogni non capiti, i desideri naufragati si consumano tra Paolo e la madre, tra i bianchi muri della casa.
3. Sono da segnalare, tra i pregi dell'opera di Giorgio Morale, gli straordinari bozzetti pittorici costituiti da tante figure e situazioni: per citarne solo alcune, il trasloco notturno alla casa della fabbrica, il richiamo mattutino del bombolonaio, le usanze culinarie nei quartieri popolari avolesi, il rito della pettinatura della Madre Grande, i giochi con la bambina brava, le corse con l'altro Paolo, il compagno poliomelitico; la paura degli scarafaggi, i discorsi con Rosario, il ragazzo orfano; la "Nascita" nella notte di Natale, il lungo bacio tra i genitori prima della partenza.
Anche l'emigrazione italiana in Germania, rappresentata indirettamente attraverso i racconti di chi torna, rivive in quadri molto efficaci, che trasmettono la concretezza e l'urgenza dei problemi del lavoro e la suggestione dei favolosi paesi lontani.
Nella scrittura narrativa di Giorgio Morale, di grande unità stilistica ma nello stesso tempo capace di varietà, ora irta, ora dolce di ricche e diffuse descrizioni, ora ispida, ora rotta, ora sofferente, c'è la terra siciliana con le sue tradizioni, con le sue feste, col sole bruciante e le piogge insistenti, con il mare luccicante e con le campagne e i monti odorosi, con le sue contraddizioni e le sue glorie, con i suoi profumi e i suoi odori, con i sapori marcatamente isolani, con le mandorle, le carrube, le conserve di pomodoro e di mele cotogne, con gli orti assolati e rigogliosi di peperoni, melanzane, con i gelsomini profumatissimi e le arance rossastre come la luna. C'è la Sicilia degli anni '50, il suo profondo Sud, con Noto e i suoi palazzi barocchi, con Cassibile e il castello della Marchesa; e, poi, c'è Siracusa, col suo porto e il suo fascino di isola nell'isola. C'è tutto questo che fa da cornice poetica, luminosa e fascinosa, all'infanzia di Paolo, pur sempre bella e piena di vita.
C'è ancora nel romanzo di Giorgio Morale un catalogo caratteriologico dei siciliani. C'è il mondo suburbano di un grosso paese di braccianti, ci sono i ceti dei piccoli proprietari egoisti e individualisti, ci sono i poveri senza coscienza di classe che votano DC e le classi subalterne di Avola, con i loro pregi, i difetti e le contraddizioni. Risalta, dalle tante descrizioni che impreziosiscono la narrazione, l'abile tecnica dell'autore nello sbozzare le figure, i vizi, le virtù e le psicologie dei tanti personaggi che animano il mondo infantile del protagonista.
Le descrizioni, nella narrazione, non trascurano nulla: c'è il desiderio di salvare le sensazioni e le scoperte della prima infanzia e nello stesso tempo di documentare, con sguardo quasi antropologico, tutti gli aspetti della nuda e cruda realtà, fonte di umane verità, su cui Paolo ha costruito, poi, la sua vita. Inoltre, autentiche gemme di cultura orale siciliana costellano la narrazione; si tratta degli indovinelli del padre, i proverbi della madre, le filastrocche e gli accenni di canti della tradizione popolare.
5. Paulu Piulu è un'opera assai singolare, la quale, nel groviglio di una scrittura curata ed elegante nello stile, con strozzature sintattiche che danno quasi il ritmo di un pianto a singhiozzo, avvince il lettore per la narrazione vivida di una storia individuale che diventa l'epopea di una famiglia di emigranti, piccoli-grandi eroi, né vinti né vincitori, ma custodi gelosi delle loro verità e del senso profondo della loro dignità di uomini.
C'è nello scritto di Giorgio Morale la spregiudicatezza della verità e il non-senso del pudore nelle descrizioni, ora surreali, ora documentarie, ora di mera osservazione, della natura, delle cose, dei moti dell'anima umana e delle umane miserie, una genuinità di sentimenti al naturale, senza ammiccamenti, sinceri, rudi, tragici, troppo umani. C'è la dolcezza dell'amaro in bocca! E' una scrittura della memoria, dolorosa e dolce, di una vita difficile, ma completa, vissuta intensamente, osservata nelle minuzie.
Lo stile della scrittura è elevato, ma non è sempre lineare e facile; spesso il discorso si rompe o si mozza di colpo. Ma non si tratta di un vezzo di tipo modernistico, bensì di una precisa scelta stilistica, mirante a rendere, attraverso una scrittura che procede per immagini, i momenti alti del vissuto.