I versi dolenti di Giovanni Catelli, di Rossano Astremo
Arriva nelle librerie Treni, nuovo libro di Giovanni Catelli, edito da Manni, che già aveva pubblicato altri due libri dello stesso autore, Geografie (1998) e Lontananze (2003), entrambi libri di prosa, non veri e propri racconti, ma squarci lirici, sguardi sospesi sul mondo osservato. Treni, invece, è una raccolta di versi, ma, come nota Gianni D’Elia nell’introduzione: “Giovanni Catelli è un lirico della prosa, uno scrittore di confine. Questo libro di poesie ci mostra l’orologeria interna della sua prosa. Infatti, i versi, o sono troppo lunghi, o troppo corti, e non hanno punteggiatura, che notoriamente riveste in prosa un valore metrico, ora assegnato agli a capo. Se il lettore li disponesse in un continuo, ristabilendo le virgole, si troverebbe di fronte ad uno dei racconti (qui microracconti) di Catelli, con le notti, le albe, le città, i viaggi, i treni sul mare, il suburbio italiano del centro-nord”.
I treni del titolo possono considerarsi piccole gocce metaforiche in cui lo scorrere spaziale di vagoni lungo immaginarie rotaie porta con sé il passare del tempo che si posa non solo nell’animo e nel corpo del poeta, ma su tutto ciò che lo stesso contempla.
È una poesia piena di malinconia quella di Catelli, fatta di annotazioni dolenti (“Siamo figli di un paese sconfitto / non vale più questa moneta deserta delle mani / siamo soli a guardare la vita che ci supera / il peso che ci resta sono gli occhi), in cui la parola che sboccia dalla penna si scontra con l’irradiarsi di un silenzio ed una resa che nutrono ogni cosa (“Non so dividere le dita del silenzio / la parola precede la disfatta dei gesti / accompagno la voce al confine dei respiri”).