Giovanni Catelli, Treni

23-06-2008
E il treno va… nell’animo del poeta, di Roberto Carnero
 
Dalla fine dell’Ottocento, il treno ha cominciato a diventare una presenza ben visibile all’interno della poesia italiana. Da testi come La strada ferrata di Emilio Praga, il cui il treno assurge a simbolo della modernità che avanza, o Alla stazione una mattina d’autunno di Giosue Carducci, dove la locomotiva rappresentava, nella sua «mostruosità» tecnologica, il correlativo oggettivo dello stato d’animo di lacerazione del poeta, giungiamo oggi all’ultimo tassello della serie, la raccolta Treni di Giovanni Catelli. Ma la parola «treni» – nota Gianni D’Elia in una nota introduttiva – significa anche «ritmi, lamenti, canti funebri rituali». E questa accezione «iper-culta», oltre a quella «ferroviaria» (diffusa, tematicamente, nei vari componimenti), è senz’altro presente nei versi sofferti dell’autore cremonese: «Misuriamo il ritorno a questa lama degli anni / dividiamo la carne quotidiana del tempo / come l’alba compare alle vetrine di ghiaccio / e muove sull’asfalto dita di silenzio». Versi, come si vede, lunghi, vicini a un ritmo prosastico, allergici alla punteggiatura.