La felicità, sfuggente chimera, di Alessandro Castellari
Esce in libreria Negli occhi di chi guarda, il romanzo d’esordio di Giovanni De Rose. È una storia di amicizie e d’amori, di migrazioni contadine e di lotte operaie che Iennaro, l’ottuagenario protagonista, da un’altura di fronte al mare calmo di Calabria racconta della notte del 10 agosto ad un gruppo di giovani. E questo avvio è epico e dialogico dà il timbro caratteristico a tutta la narrazione e le imprime un sottile movimento poetico che ricorda la cornice narrativa della Notte di San Lorenzo dei fratelli Taviani.
In questa ampia epopea dell’emigrante troviamo le ragioni per le quali un pastorello di capre si apre al mondo e concepisce l’idea di andare al di là dell’oceano a cercar fortuna. Ma troviamo anche le ragioni per le quali, nell’estate del 1917, scopre lo sfruttamento ed è vittima, nel distretto militare di Bisbee in Arizona, del rastrellamento e della deportazione che, insieme a più di mille minatori in sciopero, subisce da parte delle autorità locali sostenute dalla compagnia mineraria. Un avvenimento storico la «Bisbee’s deportado»che nel romanzo viene accuratamente ricostruito. Ma nel racconto di Iennaro troviamo ben di più: gli odori e i rumori del grande porto italiano da cui parte giovinetto, la prima impressione vertiginosa di Manhattan al suo arrivo, i colori accecanti del deserto di Sonora, il buio dei cunicoli della miniera di rame nelle viscere delle Mule Mountains dell’Arizona. Questa è una storia generosa di storie. Infatti il lettore scoprirà che Iennaro è figlio di due madri e quattro padri: e troverà innestate nel tronco principale della vicenda altre bellissime diramazioni narrative, quella dell’incontro di Giovanni e Filomena, quella di nonna Cicchina e dell’asina Garibalda, quella dell’infelice Rachel che si lascia andare alle correnti gelide dell’Hudson, quella del famoso bandito John Dillinger che affida a Iennaro la sua cintura.
Ma Negli occhi di chi guarda è soprattutto un romanzo di formazione che racconta della pinta, prima potente e irriflessa, poi sempre più responsabile e consapevole, che ci porta sulle vie del mondo a «tentare di essere felici». Iennaro, pastore di capre in Calabria, barbiere nel New Jersey, inserviente in un albergo di Tuxon, minatore nelle miniere di rame dell’Arizona, sa che si può inverare ciò che don Amedeo, il suo secondo «padre» gli ha insegnato da ragazzo: che la poesia della vita sta «negli occhi di chi guarda» e che ogni amore è un dono da custodire e rispettare. Così, in quel groviglio di circostanze che è il destino di ciascuno, Iennaro scopre l’amore per un altro uomo e, custodendolo e rispettandolo, coglie in esso la parte più vera di sé. È quell’arte del vivere che, come dicevano i Greci, consiste nel riconoscere le proprie potenzialità e il proprio carattere: quel dàimon da cui facevano derivare l’eudaimonìs, la felicità. Ed è proprio quest’ultima che ciascun uomo cerca con più insistenza come vero fine della propria esistenza. Di tante cose si narra in questo romanzo, ma questo è ciò che esso nel profondo ci svela.