Il narratore, di Antonio Errico
Sembra un linguaggio emerso dalle profondità della memoria, o il risultato di combinazioni alchemiche di lessico e di forme, regolato nel suo scorrimento da un ritmo interiore, naturale come il respiro, la pulsione del sangue, che domina l’espressione, la incanala, ne subordina il contenuto ai suoi passaggi, alle sue scansioni.
Dalla “Ferita dell’aprile” in poi, Vincenzo Consolo ha scritto in quel linguaggio che è sintesi di molti linguaggi e quindi di molti modi di dire l’esistere, di simbolizzare la realtà, di dare forma alle fantasie, alle passioni, alle storie, ai miti, ai dolori.
Per Consolo l’azione del narrare pretende la consapevolezza tanto della possibilità di trasformare il mondo in linguaggio – cioè di creare un altro mondo – quanto dell’impossibilità di intervenire sul mondo reale per mutarne anche un solo particolare, una sola scaglia.
Narrare è qualcosa di diverso dallo scrivere, dice Consolo nel racconto “Un giorno come gli altri”: «Con lo scrivere si può cambiare il mondo, con il narrare non si può, perché il narrare è rappresentare il mondo, cioè ricrearne un altro sulla carta».
Solo ai re – dice ancora Consolo – è concesso il privilegio di scrivere e narrare perché «solo un re può narrare in modo perfetto, egli non ha bisogno di memoria e tanto meno di metafora: egli vive, comanda scrive e narra contemporaneamente».
Ma la creazione di un mondo “altro” implica la creazione di un linguaggio che lo esprima, di un linguaggio “altro” che si genera da un archetipo.
In questa dimensione del linguaggio, nella sua profondità, nel suo labirinto, nella sintassi, nel lessico, nella struttura, nell’articolazione metrica, fonosimbolica, stilistica, si addentra un volume edito da Manni e intitolato “La parola scritta e pronunciata. Nuovi saggi sulla narrativa di Vincenzo Consolo”, che con la cura di Giuliama Adamo e la prefazione di Giulio Ferroni presenta contributi della stessa Adamo e poi di Daniela La Penna, Miguel Angel Cuevas, Nicolò Messina, Irene Romera Pintor. A questi saggi si aggiunge un contributo di Consolo sulla metrica della memoria e un cd con brani dei suoi libri.
Non è nuova l’attenzione dell’editore Manni ad uno dei più significativi narratori nel Novecento italiano. Infatti: nel 2002 ha pubblicato “Oratorio e nel 2004 un’altra raccolta di saggi e testimonianze per i settant’anni intitolata “Per Vincenzo Consolo”.
Il linguaggio è una sorta di territorio compreso tra dimensione archetipica e invenzione, allegoria, storia, memoria.
Ma nel narrare di Consolo la storia e la memoria si sottraggono a qualsiasi svelamento, precipitano verso l’ambiguità, verso il silenzio, rifiutano un racconto che le costringa in un tempo e in un luogo. I personaggi avvertono costantemente, disperatamente, il loro progressivo separarsi dalla realtà della loro storia; subiscono un senso di vertigine provocato dal vuoto scavato dal tempo e dal destino: hanno tutti una smania, un tormento antico che ciascuno a suo modo tenta di placare: ribellandosi a qualcosa, a qualcuno, oppure lasciandosi sedurre da sirene lussuriose, dal fascino dell’ignoto, da una sensualità che nasconde i germi del disfacimento. Tutti tendono allo straniamento, che nella scrittura trova la sua espressione sublimata, a volte anche il suo nascondimento. La scrittura ha una forza separante, provoca visioni, figurazioni di altri mondi, cancella la realtà per inventarne un’altra o per conservarne solo un riflesso, una trasparenza, oppure per trasfigurarla in artificio, in sogno.
La scrittura polverizza qualsiasi macigno del reale, qualsiasi cosa visibile, tangibile; annulla i nessi logici, consente la regressione, la catarsi, l’annullamento, l’abbandono.
Talvolta nasce come un’ossessione, ma poi si trasforma in leggerezza, incantamento.
Ecco. Il narrare di Consolo è il racconto di questo incantamento, della distanza che l’uomo stabilisce tra sé e la storia, tra quello che è accaduto e quello che si è sognato. È il racconto del tentativo di salvarsi la vita attraverso una parola scritta o pronunciata, se in qualche modo uno crede alla salvezza che può venire dalla leggerezza (o dalla inconsistenza) di una parola.