Giuseppe Bonaviri, Autobiografia in do minore

10-03-2007

Alle radici di Bonaviri, di Giorgio De Rienzo

Bonaviri quasi controvoglia dà la sua Autobiografia in do minore (Manni, 131, 14 euro): o meglio la genealogia della famiglia. Da un lato c’è il ceppo dell’“ulivo, quello dei Casaccio, con la madre che “sia per sensibilità che per istinto psicologico, aveva capacità lenitrice di melanconie e scoraggiamenti”. Dall’altro il ceppo del “mandorlo”, dei Bonaviri (nome gratulatorio siciliano che significa “a buon aviri”, a ben ricevere), con il padre che “la sera stava a scrivere poesie alla luce della lanterna”, per dare sfogo al suo “forte ribellismo contro i governi costituiti, immobili, cretini, nati e vissuti e morti nella burocrazia”. La memoria di Bonaviri è intermittente. Segna con puntiglio nomi, date, diagnosi di malattie, persino altezze, umili mestieri, ma semina di continuo nella rievocazione tanti “forse”, “mi pare”, “credo”: quasi a colorare la realtà di una possibile leggenda.
Bisogna stare attenti nella fitta sequenza anagrafica a cogliere al volo rapidi suoni di Mineo: “I tuoni bofonchiavano, fuori” della porta di casa stangata, “e rimbalzavano, schiantandosi, di valle in valle”. Si colgono un’impensata gioia di “scherzi” nel profilo di un bambino che appare per lo più solo e taciturno, la passione per gli uccelli e i loro nidi, l’attenzione per antiche tradizioni. Ma sullo sfondo gravano le ossessioni: quando, si spiega, “si preparava la mia grande nevrosi nella solitudine sconfinata di questa terra”. “La vita è tutta un giro di nascite e morti; vale la pena viverla? Che senso ha, che senso esiste nel gioco universale”? Anche dal futuro lo scrittore non s’aspetta nulla: “E prima o poi andrò a fare in culo, sperando che qualcosa di immateriale (ma esiste l’immaterialità?) mi sopravviva. Della sopravvivenza dei miei libri, non mi interessa, né mi interesserà una minchia”. In questa “opaca terra, scrivere per me, oltre che maledizione ereditaria, è stato solo salvezza dalla solitudine in cui ho vissuto e vivo”. Non c’è civetteria intellettuale in questo libro. Solo il resoconto di un’esistenza il cui senso è sfuggito a Bonaviri.