Quei 56 scalini di ritorno a casa, di Ignazio Minerva
Il tema del suicidio a lungo implicito, sotterraneo, nei libri di Giuseppe Cassieri è venuto fuori all’improvviso. Un po’ come capita a Nazario Giannutri, il protagonista del nuovo libro La strada di ritorno, tra i finalisti del Premio Città di Bari. Un giorno Giannutri, andando a casa, conta gli scalini che lo separano dall’appartamento. Sono 56, quanti i suoi anni. Colto da una strana inquietudine, pensa al licenziamento dalla vita “senza giusta o ingiusta causa”. Tutti gli esseri che popolano il suo universo appaiono inquietanti, gli sembra di far parte di un’unica cosmica “biomassa insalsicciata”. I primi segnali, confessa Giannutri, li ha avvertiti guardando Il cavaliere morente di Bergen, “un giovane mondano, elegantissimo in ogni dettaglio, che s’immagina volentieri in attesa di una compiacente dama di palazzo anziché della Morte che spunta dalla cornice”. La fine, pensa, potrebbe non essere lugubre, ma “ludica”, senza “scheletri demenziali” o “terrori adombrati in fiamme e nero d’inferno”. Del resto, citando Svevo, un individuo che si tiene vivo per inerzia, truffa di più la vita o la morte? Giannutri vuole sfuggire al disagio e sembra trovare la soluzione in una misteriosa organizzazione, Free Exit, e in un programma di ristrutturazione della personalità che rimanda all’Arancia meccanica di Burgess: la via d’uscita potrebbe essere la stipula di un patto ragionato con la vita. Per trattare il senso dell’esistere e uno dei più resistenti tabù, Cassieri ha scelto la levità, l’ironia, con una vicenda che attraversa il territorio narrativo di Pirandello e Calvino. Per esempio, il dramma della prova-specchio è tradotto con una riflessione sulla scala cromatica dell’invecchiamento. Si passa dal grigio verde dei cinquanta, pensa Nazario, al grigio tenue, per scivolare nel fumo di Londra e poi terminare con il nero di seppia. A questo punto un’esclamazione dal sapore liberatorio che volge in nonsense il “morte, tu morrai” di John Donne: “Ma la seppia non mi avrà, la seppia non mi tingerà”.