Giuseppe Cassieri, La strada di ritorno

08-04-2005

Dolce morte. Viaggio in una scelta, di Sossio Giametta


La strada di andata è la nascita, la strada di ritorno la morte. La prima è circondata di gioia e festosità, la seconda di avvilimento e afflizione. La prima cosa è certamente giusta. E' giusta anche la seconda? Non è possibile e auspicabile vivere anche il secondo di questi due avvenimenti naturali come qualcosa non di assurdo e sconvolgente, ma di governabile e programmabile, alla stessa stregua di cose umane, in cui l'uomo ha canalizzato la natura in forme civili e istituzionali? Governare la morte: non può essere questa la prossima tappa del progresso nel sottrarre il nostro destino all' "orrida casualità"? La questione era stata già posta sporadicamente in passato. Italo Svevo si chiedeva: "Chi si tiene vivo per inerzia truffa più la vita o la morte?" E Nietzsche perorò con forza la causa dellla buona morte.
Ma la questione dell'eutanasia è esplosa veramente solo ai nostri tempi, nella vita associata, nei media, nella politica, nei film, nella letteratura. E solo ora anche ha fatto dei passi avanti. Certo è difficile vincere il senso di sacrilegio che l'eutanasia suscita, e la Chiesa, per esempio, non può che essere contraria, perché la vede come sostituzione dell'uomo a Dio. Ma la Chiesa è contraria anche a divorzio aborto contraccezione e altro, che i laici considerano e possibilmente codificano come indispensabili istanze di civiltà e modernità. Ogni essere vive in tensione fra positivo e negativo, e anche se il positivo tende a prevalere nelle più avverse circostanze, si danno casi in cui l'individuo può preferire chiudere la sua azienda fallimentare senza aspettare la bancarotta.
Nel caso di Nazario Giannutri, 56 anni, docente universitario a Roma, il "tarlo implacabile", che lo spinge a "licenziarsi dal mondo senza giusta o ingiusta causa, senza un danno irreversibile, e anzi in sostanziale armonia fisica", è la crescente e ormai insostenibile complessità della vita, "il cumulo di feticci, di messaggi babelici, il moto perpetuo degli avvenimenti, il loro fumo di plastica, la fatica di smaltirli". Gli effetti sono: un "generico panico nell'affrontare la realtà di ogni giorno, intolleranze e improvvisi rigetti."
Si aggiungono: un herpes simplex tra lombi e glutei, acufeni insradicabili, una protesi mobile dell'arcata superiore, richiedente una cura così fastidiosa (smontare lavare rimettere dopo ogni pasto) da indurre il portatore a saltare uno o due pasti al giorno; irascibilità e intolleranza dell'ordine costituito sociale e politico, delle sirene di autoambulanza, polizia e vigili del fuoco, delle zucche mescolate a scheletrini di Halloween, della favola dell'originalità e della fantasia del nostro popolo e del catastrofismo dell'Occidente allo squaglio. Ci sono inoltre: il tramutarsi della gioia in fastidio per i bambini nel cortile della scuola all'ora della merenda, il disgusto per le masturbazioni di un settantenne in Philip Roth, per le pedanterie storiche di Marguerite Yourcenar nelle Memorie di Adriano e per le "croste linguistiche maleodoranti, frasi e pensieri di riporto che si susseguono come vagoni piombati diretti a un lager" nelle tesi dei laureandi.
Se si considera d'altra parte che Nazario, rimasto da bimbo orfano dei genitori, perde la moglie, rivelatasi improvvisamente lesbica innamorata, e perde altresì l'amato fratello maggiore Ilario, suicida su un sepolcreto nel mare messapico, forse per contagio della moglie sterile e depressa: si può capire come egli giunga a vagheggiare la "dolce morte".
Quando perde anche l'ultimo amore, una cantante che, dopo averlo riempito di sublime musica in tutti i sensi, scompare in seguito a una malattia alle corde vocali, egli decide di rivolgersi a Free Exit (Libera Uscita), un'organizzazione di volontariato per la morte assistita. Ma questa è gestita da persone scrupolose che procedono coi piedi di piombo e non concedono la richiesta assistenza se non quando sia stato esperito ogni altro mezzo alternativo.
E' a costoro che Nazario consegna il suo contributo autobiografico al dossier plurinazionale sul tema della morte assistita (una delle impronte - delebili - raccolte in una Strenna duemila), perché sia presentato a Strasburgo al fine di "scongiurare un processo infamante a carico di persone di alta statura morale, dedite alla lotta per la vita quanto più, paradossalmente, esercitate a garantire il dolce afflato della morte".
Non raccontiamo l'esito, ma precisiamo che sarebbe sbagliatissimo pensare che questo romanzo sia tetro o mesto. Certo il motivo di fondo è grave, e il libro è una profonda riflessione sul male di vivere attuale; ma esso è tutto una lotta tra eros e thanatos, in cui eros prevale nettamente sui thanatos, con una sottile poesia combinata con un realismo senza remore e un'arguzuia senza pari, offerte in una lingua che è la più bella luminosa moderna spiritosa ed elegante che conosciamo.
Il libro pullula di scene intrinsecamente comiche,assomiglia a un classico antico tipo Apuleio ed è permeato di una poesia delle piccole cose, per la quale fa pensare ad un altro classico antico, al Virgilio delle Georgiche. Insomma è un'opera di cesello, riservata ai palati più fini ed esigenti.