Giuseppe Cassieri, La strada di ritorno

17-06-2005

Ricerca delle memorie in un intreccio gotico, di Giuseppe Amoroso 


Qual è il messaggio del Cavaliere morente di Bergen, esposto alle Scuderie del Quirinale? Questo interrogativo si pone Nazario Giannutri, professore d'università, io narrante di La strada di ritorno di Giuseppe Cassieri, immergendosi nel caos della città, in un tardo pomeriggio di marzo. Con il «distacco del veggente» e un'infinita pietà guarda il branco indistinto ammassato nell'autobus e salendo le scale di casa si accorge che sono cinquantasei i gradini che portano al suo pianerottolo, tanti quanti gli anni della sua età. E ha avvio la ricerca delle memorie, di un «retroterra», di un epicentro che emana fotogrammi dell'adolescenza e della giovinezza a Valcomino: l'amore per l'arte, le letture crociane, i volti femminili della Storia, la «selvatica» inizializzazione sessuale, in un rudere visitato da un'opaca luce lunare. Con il limpido soccorso del sorriso Cassieri fa scivolare le immagini secondo un giustificato tempo di apparizione, una durata psicologica, ma anche operando una scelta necessaria, dettata da un «patto con la vita». Il ritmo non determina sobbalzi né pause, sostiene una carovana di episodi, anche «didascalici», individuati con una naturalezza che li rende vivi e scrostati dalla patina gialla della lontananza. Il presente e il passato non usano registri espressivi diversi: anche il saggio, la citazione, la manovra culturale si fondono in un racconto di docile movimento, in un'elegante ottica di rappresentazione che riesce a placare i dolori, «intolleranze e improvvisi rigetti». Il matrimonio di breve durata, la morte del fratello, i riti della vita nazionale e l'urgenza di uscire da «un fondaco privato» si alternano con una miriade di piccoli volti, le ricche vedute del paesaggio romano e brillanti divagazioni filologiche. Nel frattempo incrudeliscono le «intolleranze», mentre ostile, freddo si incunea il motivo della morte, disseminato in una antologia di incursioni stimolanti nelle «terre della comare secca» da cui scaturisce una sorta di intreccio gotico originale: con impunture espressionistiche, fra interrogativi simbolici e mascherata festività di commedia. La scrittura, ricorrendo alla sua più operosa officina, compie un viaggio nella realtà drammatica proprio grazie a una «frenesia onirica». E si spalanca la strada a una «transitoria eversione della fantasia». L'io, «pericolosamente divaricato», tra freddezza e cupo richiamo dell'abisso, cerca altre esperienze per superare la solitudine: ma la scelta di prestare opera di volontariato in una comunità si trasforma in un boomerang.