Ultima corsa sull'autobus per gli amici stralunati, di Osvaldo Guerrieri
È stralunato il mondo che ti viene incontro da questi racconti di Giuseppe Cassieri. Di primo acchito lo collochi nel flusso impetuoso del realismo, con la rappresentazione di quegli agglomerati per lo più di provincia, con quei modi e tic collettivi che la letteratura meridionale tra Otto e Novecento ha portato a vertici di meravigliosa espressività. Ma poi arriva un germe sovvertitore, e il tuo realismo va a farsi benedire, si trasforma in u surrealismo con robuste coloriture di grottesco e di assurdo. Che cosa diventa allora quel mondo? Nient’altro che il riflesso deformato dell’occhio che lo guarda.
I tredici racconti ti portano piccole storie, che a volte non sono neppure storie, ma lampi di vita e fulminee eccezioni d’esistenza, come, per esempio, I formaggi del profeta, in cui un calabro-americano convertitosi alla fede mormone pone a testimonial dei propri prodotti nientemeno che il fondatore della setta. O come Le cavallette, resoconto di una vacanza funestata dagli insetti che a frotte, anzi a nuvole rovinano il riposo a una famigliola e che una mattina all’alba, secondo le previsioni di un curioso professore, decidono di defungere contemporaneamente.
Ma ci sono anche racconti più complessi, come le Scommesse che aprono il volume e descrivono il bizzarro comportamento di tre amici pensionati. Per dare un ultimo brivido alla loro vita in saldo, essi decidono di giocarsi una partita strampalata ma eccitante: salgono su un autobus di Roma estratto a sorte con uno dei tre privo di biglietto; se durante il percorso sale il controllore e lo pesca privo del «documento», perde scommessa e quattrini. Il racconto non consiste soltanto nella descrizione di una goliardata fuori tempo massimo. Appare invece intrecciato di complessità che hanno a che fare con il senso di inutilità dopo la perdita del lavoro, la solitudine, la nostalgia di una vita alle spalle e dei luoghi legati a quella vita che altri hanno occupato nel frattempo, del tutto ignari dell’esistenza del loro predecessore, che magari li spia da un angolo di strada.
Tutto ciò è sorretto da una scrittura nervosa, tagliente e colma di umori impressionistici. Ma quel che vagamente colpisce è la costruzione dei personaggi, il loro erompere dalla pagina con una strepitante vitalità. Indimenticabile il segretario comunale Almerindo Pacilio, che nel Frutto proibito si concede un’ingreppiata di fichi d’India con le conseguenze di un’epopea gastro-intestinale rappresentata però dall’Opera dei Pupi.