Giuseppe Cassieri, Scommesse

01-05-2007

Le scommesse di Cassieri, di Gerardo Trisolino

Il Cassieri autore di racconti riesce a coniugare perfettamente la raffinatezza stilistica (che ha una nobile ascendenza «rondesca») con la consistenza, per così dire, «materiale» di situazioni e personaggi. In lui la parola, frutto di una severa selezione lessicale, non gira mai a vuoto inutilmente, non evoca solamente, ma descrive, scava, costruisce trame paradigmatiche, spesso al limite del reale. Anzi, proprio la scelta di personaggi singolari, grotteschi, surreali, svampiti, funambolici consente allo scrittore di indagare su aspetti consueti e inconsueti della vita, su vicende con risvolti umoristici e grotteschi se non proprio comici, che ce le rendono simpatiche e amabili. Nello stesso tempo i racconti diventano brillanti e piacevoli, se non proprio divertenti. La conferma ci viene da Scommesse e altri racconti, pubblicato dall’editore Manni (pp. 142, € 15,00), con cui il grande scrittore di origini e legami pugliesi (è nato a Rodi Garganico nel ‘26, ma da tempo è trapiantato a Roma) ha confermato il rapporto editoriale inaugurato dal romanzo La strada di ritorno (2005). La dimensione trasognata, onirica, paradossale, surreale, umoristica, ma sempre satirica, è quella che Giuseppe Cassieri predilige ed è quella in cui lo scrittore da il meglio di sé. Si gusti la festosa comitiva dei personaggi di questi tredici racconti. Anche quando ci coinvolgono in situazioni grottesche, riflesso di tendenze nevrotiche assai diffuse, restano dei simpatici ed attempati buontemponi. Finalmente (ed è una rilevante novità all’interno del panorama letterario dei best seller) niente delitti, niente sangue che sgorga a flutti, nessun killer, nessun poliziotto, nessuna depravazione morale, niente violenza, niente volgarità, niente droga, niente stupri. Sembra di trovarsi magicamente in una dimensione straniante, ma riappacificante tra l’io e il mondo. Se pure qualche conflitto sembra emergere tra l’ottica dei protagonisti e le persone intorno, tutto si risolve con bonomia e buon senso. E i lettori sono portati a tirare su un sospiro di sollievo, perché niente di grave e di irreparabile è accaduto o accade intorno a noi. Alla fin fine, i racconti di Cassieri sono una sorta di sosta salutare e disintossicante nel viaggio della violenza quotidiana, un’oasi nel deserto della banalità del vivere e delle frustranti «ambizioni sbagliate» che abbagliano la vista dei piccolo-borghesi di ieri e di oggi, delle metropoli e della provincia. Già la scrittura ha un andamento rilassante. Le parole si sistemano con garbo e precisione al loro posto all’interno del periodo. Altro che la scrittura sciatta e «cinematografica» sulle vite schizoidi oggi di moda nella letteratura senza più letteratura. Si prenda il racconto d’apertura (quello più lungo, che presta il titolo alla raccolta). Sotto forma diaristica e autobiografica, l’io-narrante stempera nell’humor quello che per lui (come per tanti: e qui sta la paradigmaticità di tante vicende raccontate nel libro) è lo choc del pensionamento, dopo tanti anni di lavoro e una vita di routine. È il momento di rimodulare la propria esistenza, di darle un’altra forma, come accade ogni qualvolta si deve smettere una vecchia abitudine, che ha consustanziato la nostra identità. Il petulante e pignolo protagonista è un ex funzionario di banca costretto, in seguito ad una scivolata nel bagno, a indossare il tutore, che lo inchioda ad una fastidiosa e inaccettabile parziale immobilità, che aumenta la sua naturale pignoleria e insofferenza. A tal punto che lo psicoterapeuta che deve aiutarlo ad evitargli una crisi depressiva lo abbandona consigliandogli di sostituirlo con la gratuita terapia della scrittura: scrivere «di se stesso a se stesso», diventare un «muto parlante». (Non è difficile qui intravedere il ricorso alla tecnica psicoanalitica di sveviana memoria, rafforzata dallo stesso atteggiamento ironico di Zeno Cosini verso le presupposte virtù taumaturgiche dell’autoanalisi freudiana). Eccolo dunque il protagonista a la recherche du tempe perdù. È una rievocazione scanzonata di alcune vicende fondamentali della sua vita, filtrata da una interpretazione tra il divertito e l’ironico, permeata da un costante e bonario umorismo, che smussa persino gli spigoli delle situazioni più decisive e delle decisioni più problematiche della sua esistenza. Tra le varie rievocazioni spicca l’episodio centrale delle scommesse: un modo per dare senso alla vita da pensionato, un brevetto per occupare le ore del giorno insieme ad altri pensionati. Ma l’aspetto più divertente è l’assurdità di certe scommesse che ricreano quasi il senso dell’avventura giovanile in una Roma caotica e distratta. Cassieri è impietoso con i suoi personaggi, ma sempre indulgente. Soprattutto quando i temi trattati sono seri, come quello della «sindrome da pensionismo». Nel contempo egli ha l’abilità di fotografare con intelligenza una tendenza divenuta l’icona del nostro tempo, tra totocalcio e «gratta e vinci», «il milionario» e le scommesse televisive. Ma lo fa senza moralismi e paternalismi, scegliendo con elegante maestria la via della piacevole leggerezza piuttosto che quella della patetica pesantezza.