Giuseppe D’Alessandro, L’autostrada

01-06-2010

La parola essenziale

 
Nella prefazione a questa antologia di Giuseppe D’Alessandro, Walter Pedullà dice che la sua poesia si svolge all’insegna di una leggerezza che esprime al tempo stesso il dolore e la gioia di esistere («vivere / è come partorire ogni /giorno: / con dolore e con gioia»), che la sua è una parola sempre commossa, detta da un uomo e un poeta che rivela costantemente una semplicità mista a candore. Ha, ovviamente, pienamente ragione. Ogni verso di D’Alessandro rivela la sua profonda umanità, la sua fedeltà ai sentimenti, agli affetti, ai ricordi; e contemporaneamente denuncia la sua critica amara alla civiltà industriale e quindi, di converso, la sua nostalgia per la società contadina; rispecchia anche il suo rispetto per la quotidianità dell’uomo laddove ogni evento, anche il più banale, a ben guardarlo, rivela la sua importanza, e rinvia a molte domande circa il proprio significato. Il tono generale è elegiaco, malinconico, appena venato da sfumature d’intelligente ironia.
I ricordi gli sono sempre molto cari: «Come panni di vari colori / stanno i ricordi ad asciugare / al sole. Poi, riposti / nel cassetto, aspettano»; e gli è sempre molto caro il mare (legato al senso della vita e della morte): «Quell’andare e tornare / dalle onde del mare / sono la vita / che si lascia guardare / nel suo voler continuare, / e rimanda a un altro istante / il suo doversi invece fermare»; cara e rimpianta con nostalgia l’infanzia. «Muretti a secco / della mia infanzia / al mio paese, / scalati allora / come inaccessibili montagne, / quanti orizzonti di ulivi / e di mandorli fioriti, / quanti tramonti / mi faceste inseguire». Consapevole della solitudine del destino umano («noi, sempre più soli, / dietro i vetri della finestra, / a vedere la vita che vola»), una solitudine però che guarda lontano, all’incontro fra tempo, silenzio e Dio: «Il silenzio degli uccelli / è il silenzio del silenzio. / Il silenzio degli uccelli / è il silenzio di Dio». C’è, in D’Alessandro, la consapevolezza e l’accettazione del tramonto della propria vita terrena, avvertito come «affrancazione dal passato come dal futuro» ma anche all’insegna di una speranza: quella dell’esistenza di Dio. Dio infatti, anno dopo anno, raccolta dopo raccolta, diventa sempre più presente nei versi di questo autore. È vero che il dubbio è sempre dietro l’angolo («Dio esiste troppo / o non esiste. / questo il dilemma / che si consuma nel cuore»); ma è «il dubbio di cui poi dubitiamo» anche perché – scrive ne Il Salvatore - «Ho una sedia vicina al cuore / e ogni sera Ti aspetto». Di Dio non riusciamo mai a impossessarci del tutto perché «appare / poi piano / scompare»; ma «Ogni uomo / ha il suo oltre la vita. / Ma la vita del suo oltre / appartiene a qualcuno / che sta nell’oltre, / appartiene al Signore / che è della vita / il solo nostro Oltre». Semmai, quasi stupito della sua attesa e delle sue certezze, il poeta si chiede: «Cos’è / quest’essere in Dio / che insieme ci turba / e ci consola?».
Una poesia, quella di D’Alessandro, intessuta d’una parola essenziale, naturale, coerente con la serietà con cui ha sempre vissuto, fiduciosa nel «miracolo» grazie al quale le speranze supreme dell’uomo non verranno tradite. Una poesia che vuole essere, inoltre, un contributo al dialogo tra gli esseri, un ricordare loro che vale la pena coltivare la bontà di fondo che alberga nei loro cuori.