Rocco e Antonia al tempo del precariato, di Mauro Novelli
Onorio lavora allo Zippo Full, sezione euro-mediterranea, una multinazionale della medicina per cui cura un foglio promozionale. Ha una fitta e «alluzzante» corrispondenza con Totò, una ragazza conosciuta l’anno precedente, che ora convive con Nrica, l’anestetista di cui è innamorata. Lui, «bel monscerino», viene presto licenziato dalla ditta, che registra profitti in crescita solo dell’11%. Lei, per sbarcare il lunario, presta servizio in un’organizzazione no-profit, nella quale per la verità più che servizi appronta servizietti ad anziani e disabili, in bilico tra slanci di generosità e circonvenzione d’incapaci. È questa, pettinata a fatica, la trama del saturnino romanzo di Giuseppe Favati, toscano, classe 1927, noto come poeta, autore per il teatro e animatore da mezzo secolo della prestigiosa rivista fiorentina “Il Ponte”.
L’eros al tempo del precariato, dunque, condita da una scrittura balzana e sincopata, sempre pronta a svariare tra frustrazioni d’ufficio, amplessi en plein air, ragionamenti a ruota libera: ma senza perdere il bandolo di una matassa che si avviluppa attorno a due solitudini irrimediabili. Sebbene tentino di «avvelenare la penna, di confondere le piste», più che due libertini settecenteschi Onorio e Totò finiscono spesso col somigliare ai gloriosi Rocco e Antonia. Non per nulla Favati chiude la prima parte facendo raccontare prima a lui e poi a lei il primo incontro, virato speditamente in sesso: un po’ come capitava in quel libro alato e porcello uscito ormai trent’anni fa.
L’impianto epistolare cede infine il passo alla narrazione di Totò, piantata e umiliata da Nrica, venuta a sapere della tresca cartacea. Sono pagine sempre effervescenti, a dispetto della tinta amara che vi si insinua. Tinta che del resto fa capolino in tutto il libro, sin dalla telefonata di un amico sindacalista, «metronomo di battaglie, le giu-ste e in-giu-ste, infine tutte perdute. A distanza le giuste appaiono oggigiorno ai più ingiuste. E le ingiuste viceversa? No, ingiuste. A distanza ulteriore, cadrà il silenzio definitivo e si cadrà dalle nuvole».