Giuseppe Feyles, La classe scomparsa

26-02-2016

Una fogliata di libri, di Piero Vietti

C’è un camionista che si mangia le unghie e non sa che tra pochi chilometri lo attende un terribile incidente stradale. C’è il cacciatore di vipere che rischia la sua vita per colpa dell’esitazione di un istante. C’è il cannoniere, un personaggio kafkiano, ultimo soldato rimasto di un esercito che cingeva d’assedio la città e che per senso del dovere ogni giorno sceglie una persona da uccidere, fino a che non gli arriverà un ordine contrario. C’è la famiglia che scopre una stanza nascosta dietro a un muro di casa che nessuno aveva mai esplorato. C’è lo squalo che, curioso, supera le colonne d’Ercole al contrario e poi sale su, fino alle sorgenti del Po. Trenta storie slegate tra loro, trenta temi di liceo che l’ispettore scolastico Germinario si trova a leggere mentre aspetta di parlare con il preside di un istituto misteriosamente deserto. Il preside però tarda ad arrivare, e Germinario si fa rapire da questi brevi racconti scritti a macchina su fogli ingialliti e stropicciati – da chi? e quando? Non sono racconti edificanti, non hanno una morale buona né tantomeno buonista. Se si dovesse cercare un filo rosso che unisce queste storie potrebbe essere l’Eugenio Montale di “Prima del viaggio”, quello che dopo avere progettato tutto si dice che “un imprevisto è la sola speranza. Ma mi dicono che è una stoltezza dirselo”. I trenta racconti di Feyles sono tutti travolti da un imprevisto, che arriva ogni volta a scompaginare programmi e abitudini dei protagonisti, a rendere palese che nulla è davvero in mano loro, che ogni istante vissuto potrebbe essere l’ultimo. Si respira l’aria che soffia in certe storie di Dino Buzzati, e talvolta si ha l’impressione di sfogliare situazioni che avrebbe raccontato Flannery O’Connor. Tutto si gioca in quell’istante: “Quello è il mondo, come lo vedono loro. Un mondo in cui la salvezza, come la morte, accade sempre come un imprevisto”. Averne coscienza, saperlo intuire, essere pronti a coglierlo fanno la differenza. L’alternativa è la paralisi. Come nel racconto “Il colpo”, in cui a un capitano assediato dai nemici rimane una sola pallottola nella canna del fucile: “Chi vuole la mia pallottola? Venga avanti, se ha coraggio!”. L’arma puntata davanti a sé, il capitano promette di scaricarla sul primo che si avvicinerà, ma anche su chiunque proverà ad allontanarsi. Nessuno osa più muoversi, né fare la mossa iniziale. Sparato quel colpo, il capitano verrà ucciso, ma chi dei nemici rischierà la vita? Nessuno. Il mondo intero allora si ferma, e quel colpo non esploso restà là, a tormentare anche noi, che “un po’ lo temiamo, un po’ lo attendiamo”.