Giuseppe Fiori, La conversazione sparita

13-11-2013

L'ultimo libro di Giuseppe Fiori è un sottile elogio della conversazione, attraverso il racconto della sua evoluzione dalle forme classiche fino ai social network. La prefazione di Michele Tortorici ci introduce e ci accompagna nel fascino della narrazione di Fiori.

Introduzione, di Michele Tortorici

Nei quasi settant’anni che ci separano dall’ultimo dopoguerra la conversazione è cambiata profondamente, sia nei modi in cui si svolge sia negli strumenti che adopera. Si può persino affermare che la conversazione stessa, così come si poteva intendere negli anni di quel dopoguerra e come si è intesa successivamente per qualche decennio, sia definitivamente sparita. Se il libro di Giuseppe Fiori fosse un trattato sociologico, questo ne sarebbe a spremere il succo, d’altronde preannunciato nel titolo. Ma questo libro è altro. È ben altro. Ed è decisamente più consigliabile leggerlo che spremerlo.

Questo libro è, in primo luogo, un album.
Album di parole, certo, ma non per questo privo della rappresentazione di luoghi e di oggetti e di persone: la camera da pranzo e la tavola apparecchiata, vero centro d’attrazione; lo studio di Giovanni Battista, anzi quella particolare parete dello studio dove sono appese una “Madonna su tavola e il bambino e una lettera autografa di Garibaldi”; il salotto e il quadro che ritrae Wanda; l’appartamento con la pianta a T di via Lambro e tutta la famiglia allargata che vi passa dentro e vi si ferma per la conversazione; e tante altre immagini ancora, alcune viste da vicino, altre collocate sullo sfondo.
Non si tratta di foto, che sarebbero statiche, ma, come ho appena scritto, di rappresentazioni, cioè di immagini che vivono nella dimensione del tempo e che, in questa dimensione, costruiscono il loro lessico (che, come ci ha insegnato a suo tempo Natalia Ginzburg è di necessità “famigliare” e non “familiare”) e organizzano i loro riti. Tra questi, la contrapposizione degli schieramenti politici, non poi così diversa da quella degli stili del discorso: non dimentichiamo che il grande maestro di quei riti, Giovanni Battista Fiori – il padre dell’autore – era un avvocato.

Il libro è, in secondo luogo, una storia.
Quella dimensione del tempo che anima le immagini vi assume spesso, infatti, una sua autonomia, una linea di sviluppo nella quale si ritrovano, come tenendosi per mano in uno straordinario girotondo, tante storie personali e, insieme a queste, nello stesso girotondo, anche la Storia con la “S” maiuscola, dalla quale l’autore vorrebbe sì tenersi lontano – e, nel complesso, ci riesce –, ma nella quale non può non restare invischiato per la magia che è propria dell’oggetto e, direi, della “forma” del libro: la conversazione.
Già, perché il libro è, in terzo luogo, una conversazione esso stesso. Al lettore viene offerto un posto attorno alla tavola della camera da pranzo, nel salotto, e persino tra i banchi delle scuole frequentate dal piccolo Giuseppe. Luoghi, questi ultimi, a loro volta, di iniziazione non solo al distacco dalla famiglia, ma anche al “cazzeggiamento”, a quella briosa inutilità del discorrere che ha sulla conversazione lo stesso effetto del “seltz che si schizza in una bevanda per fare un long drink”.

Da quel posto che gli viene offerto, in ciascuno dei luoghi dove viene fatto accomodare, il lettore, se ha una certa età, riconosce – o addirittura rimpiange – vecchie abitudini che anch’egli ha avuto; oppure, se è più giovane, recupera il senso di abitudini delle quali ha solo sentito parlare e che qui ritrova invece in immagini vive. Sia in un caso e sia nell’altro, il lettore, sommessamente sollecitato a non essere pigro, è portato a scavare in profondità nel terreno di una qualità della vita determinata dal rapporto con l’altro: rapporto di condivisione, di scambio, di comune accettazione delle regole del gioco; insomma, rapporto umano nel senso più pieno che questa espressione può assumere, oggi, non meno di ieri, non meno degli anni nei quali si faceva conversazione nell’appartamento di via Lambro.

Arrivato alle ultime pagine del libro, questo lettore operoso – che non ha solo letto, ma ha partecipato e scavato – ha dunque tutto il diritto di chiedersi: è proprio vero che è sparita la conversazione?
Sì, perché il punto interrogativo, omesso dall’autore nel titolo, occhieggia da tutte le pagine, persino dalle ultime dove si parla del tempo “contratto” della conversazione via Twitter, persino – soprattutto, direi – dall’ultima, dove campeggia la citazione di alcuni straordinari versi di W.H. Auden.

L’accorto affabulatore che è Giuseppe Fiori, educato sin da piccolo all’arte della conversazione (infatti il libro è, infine, un personale “mémoire”), creatore altrove di raffinati intrecci gialli, ci attira dalla prima all’ultima pagina con un’esca tanto stuzzicante quanto incapace di coprire l’amo, anzi ostentata, perché si rivolge alla nostra intelligenza più ancora che al nostro appetito.
L’inganno dell’autore è insomma tanto sottile quanto scoperto: diventa, perciò, un ammiccamento. E tutti quanti, prefatore compreso, non possiamo che stare al gioco, facciamo finta di abboccare al suo amo, di cadere nel suo inganno.
In realtà non facciamo altro che ammiccare anche noi, mentre ci godiamo fino in fondo la sua smaliziata, gentile e preziosa, offerta di conversazione.