Un libro sull'attesa, di Alessandra Peluso
Il vero piacere è solo nell'attesa (Leopardi): coordinata, per così dire, vissuta intensamente dal cercatore di sogni. Non si sa, se quésti esista nella fantasia o nella realtà, certamente nella mente di Giuseppe Minonne che ha scritto il romanzo "Fame di sogni".
Il protagonista del libro è un cercatore di sogni che in una città, forse nell'immaginifica "Utopia" di Tommaso Moro, ogni mattina, appena udito lo sferragliare di una saracinesca aperta del meccanico di rimpetto, si avvia alla caccia di sogni.
Con una scrittura limpida e ben definita, l'autore Minonne interpreta quello che è il desiderio di molti: sognare, fantasticare, mettere da parte le inquietudini, le tristezze della vita quotidiana e dialogare così attraverso i sogni. Bellissimo. Come se l'autore voglia dirci che, in fondo poi, non è necessario quando ci si incontra parlare delle proprie mancanze, lamentele quotidiane, ma sarebbe magico condividere i propri sogni e pensare positivo; senza dubbio, si può riscoprire, in tal modo, la bellezza del momento e trovarne la felicità nell'attesa del piacere.
Tante le immaginazioni descritte nel libro "Fame di sogni", molte le storie raccontate al cercatore di sogni, come quella di Dolores che desidera avere un figlio, per la maggior parte di esse si tratta di narrazioni femminili, che il protagonista ricerca, osservandone il comportamento. Quésti appare come un analista dell'anima, si pone accanto, ascolta e immagina la possibile realizzazione della vita in termini positivi. Non è dato sapere il motivo secondo il quale le storie sono per lo più femminili, si può pensare però a dei satelliti indispensabili al protagonista e all'uomo in generale, in quanto donne generatrici di vita. La donna è emblema di positività e di benessere.
È instancabile il cercatore di sogni, anche di domenica, nonostante il meccanico non apra la sua bottega; ecco, lui deve andare: "Per chi, come me, elemosina sogni, vive allo stesso modo la serietà dei giorni feriali e la leggerezza dei festivi: si sogna la notte del venerdì e si sogna la notte della domenica" (p. 47). Sembra dirci: non ci sono vacanze per i sogni, finché c'è vita!
Risuona nel romanzo la vitalità, l'energico voglioso sì all'esistenza, se pur in posizione marginale si avverte il rumore della vita di un individuo, il dolore vissuto come quello del protagonista dopo lo stato di coma. Ed è malinconia, a tratti, immediatamente sommersa dall'incantevole desiderio di sognare.
Giorgio Bàrberi Squarotti, nella prefazione, parla giustappunto di un'opera molto originale, del tutto lontana dalla narrativa di moda e di fortuna tanto banale e ripetitiva. "Fame di sogni" di Giuseppe Minonne offre l'alternativa preziosa del mistero, del profondo, del sondaggio del vero per il tramite del sogno, ora ansioso ora festoso, sempre enigmatico, con la conclusione interrotta come una domanda che attende la risposta della vita.
Ecco allora che, nessuno di noi può negare oggi di essere affamato di sogni, ciascuno ha il diritto di sognare e tentare di dar sollievo non solo a se stesso, ma anche a chi ci ascolta, perché ogni essere umano in quanto tale ha affanni quotidiani; sarebbe bello, pertanto, che si condividessero i sogni e non le preoccupazioni. In questo modo, non si direbbe "ormai!", come una delle donne che racconta la sua storia, ossia non ci sarebbe rassegnazione, non farebbe parte della condizione esistenziale. A sostegno di ciò, ciascun individuo sarebbe propositivo, operoso, sorridente, accogliente all'altro che gli porge l'orecchio come il nostro caro "cercatore di sogni". E alla fine, anziché pronunciare l'avverbio "ormai", assoluto, definitivo, si direbbe "evviva! É ancora possibile!".