Giuseppe Neri, Il letto di Procuste

01-01-2006

Pregi e difetti degli uomini di cultura, di Giuseppe Nervini


Uno dei modi più agili per raccontare un personaggi è l’intervista. Ma a un patto: che l’intervistatore non si lasci intimidire dal suo interlocutore e, anzi, lo incalzi con domande imprevedibili, non indulgenti e, se è il caso, persino irriverenti. Ci sembra questo il procedimento seguito da Giuseppe Neri per raccontare venticinque protagonisti della cultura italiana del secondo Novecento. Quello che subito colpisce, leggendo Il letto di Procuste, è, infatti, il modo franco, aperto, di trattare gli intervistati, “nella consapevolezza –scrive l’autore nella prefazione– che il profilo di uno scrittore o di un artista si possono rintracciare e seguire più agevolmente se si riescono a individuare non solo i pregi e i lati positivi del loro operare, ma anche, e forse soprattutto, le discontinuità, le defaillances”.
Le interviste, ma sarebbe meglio chiamarle colloqui o, addirittura, battibecchi, risalgono quasi tutte agli anni Ottanta (ad eccezione quella a Carlo Levi che è del 1972, ma sembra fatta ieri per la sua attualità) e i personaggi intervistati occupavano, e alcuni di essi ancora occupano, la scena culturale italiana, nei rispettivi campi, da protagonisti. E sono scrittori, giornalisti, artisti, uomini di spettacolo, le cui opere costituiscono l’ossatura del secondo Novecento. La mappa che Neri disegna è abbastanza rappresentativa delle forze in campo. Si comincia con Alberto Arbasino e si finisce con Federico Zeri, passando per Giovanni Arpino, Giorgio Bassani, Carmelo Bene, Enzo Bettiza, Achille Bonito Oliva, Camilla Cederna, Piero Chiara, Natalia Ginzburg, Renato Guttuso, Raffaele La Capria, Carlo Levi, Luigi Malerba, Giacomo Manzù, Dacia Maraini, Alberto Moravia, Nanni Moretti, Goffredo Parise, Edoardo Sanguineti, Giovanni Testori, Giulio Turcato, Paolo Volponi e Cesare Zavattini.
Neri individua i nuclei centrali, i nodi magari non risolti delle loro opere e li sottopone, di volta in volta, all’attenzione dell’interlocutore di turno, il quale non sempre accetta i rilievi, i giudizi, le critiche che l’intervistatore gli sottopone e allora ha inizio un dialogo vivace, pungente, mai accomodante. Il giornalismo, anche quello culturale non deve essere semmai esattamente il contrario e cioè urticante. E, se è il caso, irriverente. Come questo praticato da Neri.