Giuseppe Porqueddu, Il vero è sogno

18-02-2013

Un'altra età, di Gigi Giudice

Dunque: ti batte il cuore, nascita del ritmo, di là dalle opposizioni tra interno e esterno, tra rappresentazione cosciente e archivio abbandonato. Laggiù si abbatte un cuore, tra sentieri e autostrade, fuori della tua presenza umile, lì per terra, bassissimo.
 Ripete sommessamente: non ripetere mai…...In una sola cifra il poema (l’”apprendre par coeur”) sigilla senso e lettera, come un ritmo che spazia il tempo.
 Jacques Derrida, “Che cos’è la poesia?”
 
“I poeti sono i legislatori non riconosciuti del mondo”
 Percy Bysshe Shelley, “Difesa della Poesia”
 
                                                     
Come cadeau natalizio per il 2010, Giuseppe Porqueddu mi aveva inviato, via mail, la lirica Un’altra età. Che ritrovo ora fra le composizioni radunate ne Il vero è sogno, appena pubblicato (74 pagine, 12 euro, anche se la poesia non ha prezzo) da Manni Editore, casa editrice ben nota ai sabbipodi cultori di poesia.
E’ la seconda raccolta. Che fa seguito a L’altra luce, (Guardamagna Editore) che segnò, nel 2007, un esordio quasi a sorpresa. Pochi a Voghera erano al corrente di una delle passioni dominanti del Professore. Che nella nostra cittadina risulta noto come uomo impegnato in politica attiva, oltre che per aver insegnato materie letterarie, per oltre un trentennio, nelle scuole superiori.
Scuola, famiglia (ha sposato una vogherese che gli ha dato tre figli), politica “liberamente pensata” e religione laica costituiscono i pilastri su cui si reggono formazione e visione del mondo di Giuseppe Porqueddu.
Capisaldi e valori di riferimento trasfusi in un esercizio poetico che ha innervato radici dai tempi in cui viveva a Ploaghe, nel sassarese, dove era nato nel 1945, terzo figlio di Mario, magistrato. Frequentando il liceo classico “Azuni” di Sassari ha cristallizzato la propensione alla ricerca e agli approfondimenti nel campo del pensiero e della letteratura.
La professione paterna lo ha portato, nel 1963, a Voghera.
Un passaggio probabilmente traumatico, medicato con la laurea in Lettere moderne all’Università Cattolica di Milano e con il coinvolgimento nella vita politica attiva. Mentre trascorreva la ferula di quel famoso Sessantotto…(senza ustionarsi, come accadde a non pochi compagni di strada, amici purtroppo scomparsi o svaniti nel nulla).
 
Ho pescato una citazione dalla Difesa della Poesia di Percy Bysshe Shelley  :“I poeti sono i legislatori non riconosciuti del mondo” , in quanto la poesia costituirebbe la forma più elevata di immaginazione creativa, sulla quale affondano le radici le più autentiche istituzioni umane. “E’ qualcosa di divino, il centro e la circonferenza della conoscenza; è ciò che comprende tutte le scienze e a cui tutte le scienze fanno riferimento.” Scrive il poeta inglese nel 1821, in risposta a T.L. Peacock, che nel saggio “Le quattro età della poesia” dichiarava l’inutilità della forma poetica in un’età di trionfante progresso scientifico.
A quasi due secoli di distanza l’appassionata difesa della poesia e del suo ruolo fondamentale è di continua attualità. Coltivata dai sabbipodi, dai felici pochi che dicevo in apertura, testimoniata dall’immaginazione creativa di Porqueddu già ne L’altra luce, presentato nel febbraio del 2008, da Clelia Martignoni e Angelo Stella, nel salone della Biblioteca Ricottiana stipata da ex allievi e estimatori. Era lo sbocco, la sintesi di decenni di esercizio poetico accumulato sottotraccia nell’arco di una vita permeata di valori “laicamente religiosi”.
L’appello ai frammenti di umanità che ogni uomo si porta dentro, pur annebbiati, resi opachi dall’era del consumismo, assoggettati e soffocati dalle ragioni economiche viene ripreso ne Il vero è sogno. Che contiene liriche composte negli anni più recenti, nella consapevolezza che “Occorreva davvero un’altra età/l’ultima per osare  riguardarsi/nel solo film che conta,bianco e nero…”
Nelle spire della società informatizzata, manipolata e nutrita di anomie, di conformismi e di slogan pubblicitari, il non vissuto che diventa vita,/la vecchiaia mia sola giovinezza,/l’arrivo una partenza mai partita…../la disparita…/, brilla un’altra veste/bugiarda ancora; un transito ci attende/ove nulla s’accende né s’adombra,/ né illusorio perdura né si scorda,/solo resta ad avvolgerci perenne/tenue chiarore in una stanza muta.
Una quasi dichiarata intenzione di prendere le distanze, come poeta tardivo e retrospettivo, diverso dalla più recente contemporanea evoluzione del fare poesia. Per ricondursi al climax dei protagonisti più illustri della prima metà del Novecento. Da Caproni a Bertolucci, da Ungaretti a Saba, da Sereni a Rebora. Per non dire di Eugenio Montale.
“Poesia del nostro tempo, sviamento/perenne,lago a noi sempre negato;/ma resti almeno chiara la sorgente.”
Tra sgomento e ironia, con rimandi allo “spaesamento” dalle radici. Dal mare sardo, “..viene col vento odore immemorabile/traluce appena il palpito di un sogno/un vano desiderio di essere.”
Si passa alla domanda circa gli esiti dei condizionamenti e dei travisamenti della realtà in “Postpostmoderno”… se quanto piace al mondo è vano sogno/potremo nuovamente noi cantare/alcioni terminali a fior dell’onda/sostenuti da cori sempreverdi/vaghe larve,ginestre residuali?
Come già nella raccolta di esordio, Giacomo Leopardi parafrasato sottogamba in “Che fai tu luna (attenta!)” e in “Notturno”. Intenti anche dissacranti che trascorrono a Shakeaspeare in “Esserci o non esserci”, al monologo di Amleto “Orrore di temuta solitudine/nell’assenza, intermundia tutti umani/tra sogno e sogno, dubbio sola essenza!”
Impietoso e spietato è il poeta nell’irridere le illusorie ipertrofie del contemporaneo advertising “Gabbata lei da magico profumo,/lui da dolcezza femminile, a gabbo…/ Pubblicità si batte col silenzio.”
La malcelata rabbia monta in “Agorà” sul delirante proliferare di centri commerciali, “dell’eguale vernice d’una festa/del consumismo,sorriso virtuale;/ognuno con la propria povertà”.
Inutile infierire: “Ciaciao mi manchi tanto a presto su!” .Il chiacchiericcio pestifero pecoreccio inarrestabile che si moltiplica sul web. Un segno del tentare di aggrapparsi a qualche improbabile Zattera della Medusa.
“L’acquisto certo non è obbligatorio/hai sei mesi di tempo per decidere/altri sei mesi bastano a recidere…”
Dunque un turbine di indignazioni, inframmezzato da una teoria di tenere liriche “devozioni domestiche”.
In “Sostituzioni” viene evocato Borges: “sostituti noi stessi, che ci salvi/dal copione d’un sogno che ci include.” 
E in “Il vero è sogno”sfuma l’utopia libertaria di Carlo Pisacane sotto gli occhi della Spigolatrice di Sapri “sola testimone/d’un vero così raro/che svelarlo può solo la leggenda/d’un popolo:poesia che fa la storia.”
Un parallelo alle illusioni e delusioni di tempi più prossimi.
Dove si consuma – in “Oltre il tempo” l’offesa della targa (autorizzata dal Comune!) posta sotto le mura del Castello a ricordare – senza spiegare le ragioni – i repubblichini giustiziati dai partigiani pochi giorni dopo la Liberazione di Voghera.
Chiude la raccolta la parafrasi laica del Padre Nostro:…”Aiutaci ad attingere con gioia/un benessere sobrio e condiviso/e a vedere nell’errore e torto altrui/ il nostro, immerso nel limite umano/che ci eguaglia, se tu t’incarni in noi/abbattendo l’orgoglio, unico male.