Giuseppe Rosato, La neve al cancelletto di partenza

03-06-2008

Registro breve e grande profondità, di Gerardo Trisolino

“Ora l’inverno è qui, ma tu / che l’aspettavi da tanto / non sai goderne. Altri inverni / altre nevi ti tennero, non sei / già di nessuno più, di niente / che di sé t’innamori”. Questo Giuseppe Rosato (nato a Lanciano nel 1932) aveva già scritto nella plaquette Nutrire il corpo.
Stesso motivo ritorna ora in un volumetto di suggestive prose dal titolo La neve al cancelletto di partenza. In questi ultimi dieci anni, nella scrittura di Rosato è avvenuta un’inversione stilistica: quanto inclini alla prosa erano quelle poesie, tanto più questi lacerti narrativi vengono declinati in una dimensione lirica e trasognata.
Scritture brevi è il sottotitolo. Ma l’aggettivo, più che a consistenza spaziale, sembra rimandare piuttosto alla brevità della poesia, appunto. I flash narrativi raccolti nel libro (116, per la precisione, di una lunghezza media di una decina di righe) hanno il respiro breve e l’affondo lungo del registro lirico.
La scrittura è meticolosamente filtrata, a tal punto che più che dipanarsi nell’alveo della narratività si condensa e distilla in sintesi creative proprie dello stile poetico.
Il lettore non si lasci dunque ingannare dalla forma. La prosa di Rosato lambisce continuamente la poesia: stessa riduzione lessicale, stesse figurazioni retoriche dalla sinestesia all’ossimoro, stesso dialogo virtuale con un tu femminile che mai si materializza proprio a sottolineare la lancinante assenza, certa fulminante sentenziosità che sconfina nella filosofia morale di matrice leopardiana: “Così lunga la vita, e la sorpresa di scoprirla mortale, e che per tutto quel tempo era stata con noi a nutrirsi la morte”.
Una mesta e commovente elegia dell’assenza è dunque il filo che lega queste riflessioni modulate come variazione sul tema: in agguato, delle illusioni, delle certezze-incertezze quotidiane, delle emozioni, dei ricordi familiari, infine, di questo confortevole trasporto nella memoria che tutto consente di rivivere ma che fa continuamente rimbalzare la crudele certezza che niente più è come prima: “Ed era stato quasi dolce lo strappo, già pensandoti libera, rifatta forma leggera come dicevi di sognarti ogni tanto e io come in un sogno ora ti vedo”.
A confortare ancor più la lettura sopraggiunge la piacevole ironia di chi conosce altrettanto bene il guazzabuglio del cuore e le leggi inesorabili della biologia umana.
Una cosa è certa: in queste prose brevi di Giuseppe Rosato si nascondono le poesie d’amore più belle che possa capitare di leggere in questi tempi.