Notti e albe d'amore, di C. Culiersi
Si tratta di un viaggio introspettivo alla ricerca dell’amore e delle delusioni forti che all’amore si accompagnano.
Un pensiero, quello del narratore, che non si traveste di linguaggio, ma diventa «verbo» mentre «accade quel qualcosa» che si sta raccontando in rime. È la cronaca di una separazione, di più separazioni, un errare verso la libertà. «Il tuo volto nelle mie mani… un cosmo nelle mie mani».
Assieme all’amore si va anche alla scoperta della quintessenza dell’«io» che dà la chiave della conoscenza. Tre sono i tempi dell’itinerario evolutivo: il primo è Nigreedo, lo stato di trasformazione interiore. «Cerco ancor cerco / nello stretto sentiero che s’alza sulla vetta / il rovo infiammato / per ascoltar Parola».
E il viaggio continua, lasciandosi alle spalle un cumulo di carte smarrite, abbandonate nella «gettatezza» esistenziale, in cui l’essere non ha la prospettiva di un fine, di un Dio (pensiamo ad Heidegger). Si aggiunge il riferimento inevitabile al laboratorio alchemico, dove gli elementi vengono mescolati nell’«atanor», un crogiuolo affinché tutto si sciolga e si ricoaguli («solve et coagula»), realizzando un nuovo elemento, un nuovo essere. «Era notte un tempo e venne l’alba»: così l’animo dell’uomo dopo la fase oscura. Poi sopraggiunge la seconda fase, l’Albedo, il germoglio della nuova vita, ecco quindi che nasce il secondo Adamo, purificato e riscattato dalla colpa originaria, rivive in una situazione «edenica», con una coscienza che lo porta al terzo e ultimo gradino: Rubedo (rosso fuoco).