Giuseppina De Rienzo, Laggiù la stregònia

09-07-2005

La fame di versi con parole a nudo, di Davide Morganti


C’è ingordigia di silenzi nelle poesie di De Rienzo con parole spellate e gettate sulla pagina dopo aver attraversato uno spazio che cerca vie di fuga. Immagini e dolori arroventati da una “pura inclinazione alla razzia”, istinto primordiale che deriva dalla fame. L’autrice vi fonda una poetica con cui affrontare la polvere degli incontri e le parti malate della vita, poi i riposi improvvisi: “mangio al buio in cucina e finalmente capisco mio padre la sua resistenza da cane l’insensata capacità di aspettare”. Versi che si spezzano come capelli, procedono sfilacciandosi come per deragliamento, ma con la robustezza delle ossa che reggono il vuoto della pagina e la disperazione di un lento svestirsi alla finestra, nella speranza che qualcuno noti le nudità: “per questo apro l’armadio e ti faccio guardare per una sola notte”.