Giuseppina De Rienzo, Vico del fico al Purgatorio

21-05-2008

Viaggio noir nel cuore di Napoli lontano dal folclore, di Mirella Armiero

È uno scavo nel ventre di Napoli, il nuovo romanzo di Giuseppina De Rienzo, scrittrice che fa parte della pattuglia di napoletani (sono ben quattro) finalisti al Premio Strega 2008. Un’indagine condotta con strumenti letterari moderni e capaci di cogliere ogni movimento, ogni sussulto del cuore urbano. A cominciare dal titolo, Vico del fico al Purgatorio, questo riuscito romanzo dichiara infatti la sua appartenenza al territorio della napoletanità, carico di significati e di tradizioni, ma spesso oltraggiato da facili letture e da luoghi comuni.
A questo proposito Giuseppina De Rienzo compie un’interessante operazione: affronta di petto gli stereotipi, dei quali l’identità napoletana è grondante, e ne testimonia la vitalità e dunque l’innegabile, sorprendente modernità. Il tutto attraverso una scrittura stringata ed essenziale, senza fronzoli, veloce nei dialoghi e priva di barocchismi anche nelle parti in napoletano, o meglio, in un italiano pesantemente connotato dalla pronuncia «doppia» («Maurizzìo», «sùbbito», «meglio ccosì») e dalla costruzione dialettale della frase. Così, nella narrazione, appaiono personaggi e luoghi tipici – dal femminiello ai teschi delle «anime pezzentelle» oggetto di culto – che assumono una fisionomia contemporanea. A cominciare dal personaggio chiave del romanzo, Saverio Derosa detto Eva, zio di Mariuccia, presunta assassina del proprio marito, un bullo di mezza tacca che la maltrattava e la tradiva con la sorella Rosaria. È proprio Saverio a prendere l’iniziativa di «istruire» sul caso l’avvocato d’ufficio, una bionda quarantenne della borghesia napoletana, che è poi la voce narrante dl libro. E a Saverio/Eva sono dedicate le prime colorite e indovinate pagine, con la descrizione dell’anziano «travestito» e del suo mondo decadente e variopinto, fatto di bambole, abiti, parrucche, santi e madonne. «L’idea del romanzo» spiega l’autrice, «nasce dal mio innamoramento per questo personaggio. Mi interessava moltissimo la sua psicologia, la sua aspirazione alla femminilità che solo una donna può capire, ma che rischia di scivolare continuamente nel grottesco. Ho visto di recente un documentario di Massimo Andrei, intitolato L’estinzione della femminella, che parla proprio di questo mondo che sta scomparendo. I nuovi transessuali si operano, con la chirurgia estetica cambiano il proprio corpo. Alla vecchia maniera invece il corpo rimaneva maschile e ospitava il desiderio di essere femminile. Insomma, il discorso riguarda l’identità». Non è solo questione di generi: nella narrazione si tocca anche il tema dell’identità della città, che appare ancora una volta spaccata in due, Napoli alta e Napoli bassa, Napoli dei vicoli senza luce e Napoli del mare, Napoli della borghesia e Napoli della plebe. Che pure spesso si toccano e si intersecano, mostrando a uno sguardo approfondito molti più punti di contatto che a prima vista. «Sentivo il bisogno di parlare di Napoli in un libro», aggiunge De Rienzo. «Finora non l’ho mai fatto, non in maniera esplicita, sebbene alcuni elementi geografici ricorressero nei miei racconti e ci fosse la costante presenza del mare. In ogni caso stavolta tutto è nato dai personaggi, come ho detto, che mi tiravano da tutte le parti per vedere la luce. Ma sono riuscita a portare a termine il processo creativo solo quando ho individuato il luogo in cui la vicenda prendeva forma». Ovvero la strada dal suggestivo nome di Vico del fico al Purgatorio ad Arco. «Sì, mi è sembrato determinante. Ci sono capitata nel corso delle mie peregrinazioni nel centro storico di Napoli con la macchina fotografica. Mi è piaciuto l’accostamento tra la dolcezza del fico, la vitalità dell’immagine dell’albero, e l’asprezza del Purgatorio, che ci richiama subito la condizione di mali endemici della nostra città. Trovato il luogo, i personaggi hanno trovato naturalmente forma».
Tra i nodi della storia, ci sono gli intrecci affettivi irrisolti: tra nipote e zia, tra marito e moglie, tra l’avvocatessa e il suo amante. «Come tanti napoletani, la giovane professionista è costretta a vivere in un luogo difficile, per l’ostinazione del padre abita ai Vergini. E il rapporto con la madre è ostico. Ma quello che conta, non è tanto il raggiungimento degli obiettivi – amore, famiglia – quanto piuttosto la capacità di ottenere per se stessi una sana autonomia dagli affetti, che forse è ancora più importante del sentimento».