Giuseppina De Rienzo, Vico del fico al Purgatorio

06-09-2008
Gli amori di Napoli, città condannata al Purgatorio, di Giovanni Russo

Napoli è da molti mesi di attualità a causa dei mucchi d’immondizia che sfilano ogni sera sugli schermi televisivi tra le proteste della popolazione e le polemiche che riguardano le colpe dei politici ma anche dei napoletani. Lo spettacolo di questo disastro è la testimonianza del degrado di una città, che è stata una delle capitali della cultura e della civiltà europea e che nella letteratura ha ispirato scrittori che hanno attinto creatività dalla sua realtà sociale.
Come scrive l’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe, nel suo toccante diario Non rubate la speranza: «Se si vuole raccontare Napoli, bisogna avere il coraggio di non trascurarne la faccia dolorante e patetica, senza soffermarsi solo sugli aspetti folcloristici e fumettistici. La verità rende liberi quando la parola non rifiuta d’affrontare la realtà di un popolo, di una città nella sua interezza, senza infingimenti, senza scusanti, ma con amore».
Così ha fatto Giuseppina De Rienzo nel romanzo Vico del fico al Purgatorio, tra i dodici finalisti del premio Strega, che racconta, come scrive Andrea Di Consoli nella quarta di copertina, una Napoli «scrostata e domestica» dove la «lingua» dei vari personaggi svela le diverse anime di una città millenaria, calata in un eterno, stabile «Purgatorio». Attraverso la storia di due donne – Maria, popolana accusata di aver ucciso il marito spaccandogli il cuore con un paio di forbici da sarta, e Giulia, suo avvocato difensore – emerge una realtà che si riallaccia da una parte a Matilde Serao de Il ventre di Napoli, e dall’altra agli scrittori del ’900, da Luigi Compagnone e Michele Prisco, così legati alla vita napoletana, a Domenico Rea di Gesù, fate luce, a Raffaele La Capria della Armonia perduta.
Centrale, nel romanzo della De Rienzo, la figura di Saverio Derosa, detto Eva, uno degli ultimi «femminielli» del cuore storico della città che insegue il fantasma di una femminilità irraggiungibile, un percorso di vita all’insegna di una delicata, controversa identità.
Un romanzo complesso, che solo formalmente ha andamento «giallo» nella ricostruzione del processo, che alterna, con abile espediente narrativo, le fasi del dibattimento alla descrizione delle reazioni di Giulia, l’avvocato difensore che, in quest’occasione, ridisegna i contorni della propria esistenza. Si evidenzia così quanto sia forte la ricerca d’amore da parte di tutti, anche dello stesso marito torturatore di Maria, «il malamente».
Con una scrittura suggestiva e mimetica, l’autrice fa emergere un ritratto della vita degli abitanti dei vicoli della vecchia Napoli svelando, insieme ai conflitti psicologici e umani dei protagonisti, i tratti di una città millenaria, tuttora fortemente ancorata alle proprie credenze e ai propri mezzi di sopravvivenza.